BREVI NOTE A MARGINE DELLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UE DEL 4.10.2024 IN CAUSA C-240/23: UTILIZZO DEL LOGO DI PRODUZIONE BIOLOGICA

avv. Valeria Pullini

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), emessa il 4 ottobre 2024 in causa C-240/23[1], affronta questioni rilevanti in tema di etichettatura e conformità dei prodotti biologici importati da Paesi terzi, in relazione al Reg. (UE) 848/2018.

Quanto al contesto normativo, come noto, il Reg. (UE) 848/2018 stabilisce le norme per la produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici, sostituendo il precedente Reg. (CE) n. 834/2007.

La Corte è stata chiamata a interpretare vari articoli di tale regolamento, in particolare:

– l’art. 16 dedicato alle norme di produzione per alimenti trasformati;

– gli artt. 30 e 33 sub Capo IV relativo all’etichettatura e, in particolare, alle condizioni d’uso del logo di produzione biologica dell’Unione europea,

– gli artt. 45 e 48, riguardanti, rispettivamente, l’importazione di prodotti provenienti da Paesi terzi ed il regime di equivalenza, intesa come il fatto di realizzare gli stessi obiettivi e principi applicando norme che assicurano lo stesso livello di garanzia della conformità, e

– l’allegato II, contenente una parte [parte IV, punto 2.2.2, lettera f)] relativa alle norme di produzione per alimenti trasformati.

La sentenza chiarisce che i prodotti importati da Paesi terzi possono essere considerati biologici solo se soddisfano gli standard rigorosi previsti dal regolamento anzidetto.

Un aspetto cruciale della sentenza riguarda, poi, l’etichettatura dei prodotti biologici.

La Corte ha stabilito che né il logo di produzione biologica dell’Unione né i termini che fanno riferimento alla produzione biologica possono essere utilizzati per alimenti trasformati importati da Paesi terzi, a meno che tali alimenti non soddisfino pienamente i requisiti del diritto dell’Unione.

Tuttavia, c’è un ma.

 

Il procedimento principale

Il giudizio a quo è stato originato dalla disputa tra la società tedesca Herbaria Kräuterparadies GmbH e il Freistaat Bayern, riguardante l’uso di riferimenti al “biologico” nell’etichettatura di un prodotto alimentare che conteneva ingredienti non biologici.

Più nello specifico, la Herbaria aveva prodotto e commercializzato una bevanda, qualificata come integratore alimentare, costituita di una miscela di succhi di frutta e di estratti di erbe provenienti da produzione biologica, ma addizionata di vitamine di origine non vegetale e gluconato ferroso. Sull’imballaggio erano apposti il logo di produzione biologica dell’Unione europea, il logo biologico nazionale e un riferimento alla provenienza degli ingredienti da «coltivazioni biologiche controllate».

Alla Herbaria veniva imposta la rimozione del logo di produzione biologica dell’Unione europea, nonché termini riferiti alla produzione biologica per l’immissione in commercio nell’Ue di siffatto integratore alimentare.

Arrivati al terzo grado di giudizio (Corte amministrativa federale di Germania, giudice del rinvio), la Herbaria non contestava le disposizioni normative di cui al Reg. (UE) n. 848/2018 alla luce delle quali, in relazione alla descritta composizione dell’alimento, non è consentito l’uso, rispettivamente, del logo di produzione biologica dell’Ue, del logo biologico nazionale e di termini riferiti alla produzione biologica.

La Herbaria, piuttosto, faceva valere che, in applicazione del citato regolamento, un prodotto alimentare comparabile al proprio integratore, importato dagli Stati Uniti d’America, non sarebbe soggetto ad un simile divieto.

Infatti, a seguito di un accordo concluso nel 2012 tra la Commissione europea e lo US Department of Agriculture (Ministero dell’Agricoltura, Stati Uniti d’America), gli USA sarebbero stati iscritti nell’elenco dei Paesi terzi le cui norme di produzione sono considerate equivalenti a quelle previste dall’allora vigente Reg. (CE) n. 834/2007 e così, oggi, dal vigente Reg. (UE) 848/2018.

In forza di tale accordo, secondo la Herbaria, prodotti in concorrenza con quelli dalla stessa commercializzati, originari degli Stati Uniti, possono essere immessi sul mercato dell’Unione come biologici e recare il logo di produzione biologica dell’Ue, nonché termini riferiti alla produzione biologica alla semplice condizione di rispettare le norme di produzione di tale Paese terzo, anche se non conformi alle norme di produzione del diritto dell’Unione.

E ciò costituirebbe, secondo la Herbaria, una disparità di trattamento ai sensi dell’art. 20 (“Tutte le persone sono uguali davanti alla legge”) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La Corte amministrativa federale decideva, quindi, di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali, la più rilevante delle quali – e l’unica alla quale la Corte abbia offerto compiuta risposta – è la seguente:

– se l’art. 30, parag. 2, e l’art. 33, parag. 1, del regolamento 848/2018 debbano essere interpretati nel senso che il logo di produzione biologica dell’Unione europea e termini riferiti alla produzione biologica possono essere utilizzati per un alimento trasformato importato da un Paese terzo alle condizioni previste all’art. 45, parag. 1, lett. b), iii), e all’art. 48, parag. 1, di tale regolamento per essere immesso sul mercato dell’Unione come prodotto biologico, mentre tale alimento, contenendo minerali e vitamine di origine non vegetale, non soddisfa i requisiti derivanti dal combinato disposto dell’art. 16, parag. 1, e dell’allegato II, parte IV, punto 2.2.2, lett. f), di detto regolamento.

***

Prima di passare alla risposta della Corte di Giustizia, si ritiene necessario procedere ad una breve descrizione delle principali norme coinvolte nel contesto che qui occupa, anche al fine di meglio comprendere il contenuto e la portata sia della questione presentata alla Corte dal giudice tedesco, sia la disamina offerta dalla Corte nella propria, articolata risposta.

 

Le norme del Reg. (UE) n. 848/2018 relative all’uso del logo Ue e dei termini sulla produzione biologica per alimenti trasformati importati da Paesi terzi

Anzitutto, l’art. 16 del Reg. (UE) n. 848/2018, intitolato «Norme di produzione per alimenti trasformati», stabilisce – per quanto qui interessa – che gli operatori che producono alimenti trasformati devono conformarsi alle norme dettagliate di produzione e agli atti di esecuzione di cui alle disposizioni dedicate del regolamento stesso.

Ai sensi dell’art. 30, intitolato «Uso di termini riferiti alla produzione biologica», si considera che un prodotto riporti termini riferiti alla produzione biologica quando, nell’etichettatura, nella pubblicità o nei documenti commerciali, il prodotto stesso o i suoi ingredienti usati per la sua produzione sono descritti con termini che suggeriscono all’acquirente che tale prodotto o gli ingredienti sono stati prodotti conformemente al regolamento stesso.

Pertanto, i termini riferiti alla produzione biologica non possono essere utilizzati in nessun paese dell’Unione per l’etichettatura, la pubblicità o i documenti commerciali di un prodotto che non sia conforme al regolamento.

L’art. 33 del Reg. (UE) n. 848/2018, relativo al logo di produzione biologica dell’Unione europea, stabilisce che tale logo può essere utilizzato nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità di prodotti che siano conformi al regolamento, sui quali possono essere utilizzati anche loghi nazionali e loghi privati, purché tali prodotti siano parimenti conformi al regolamento stesso.

Tuttavia, l’art. 45 del Reg. (UE) n. 848/2018, intitolato «Importazione di prodotti biologici e in conversione», al parag. 1 così dispone:

«Un prodotto può essere importato da un paese terzo per essere immesso sul mercato dell’Unione come prodotto biologico o come prodotto in conversione se sono soddisfatte le tre condizioni seguenti:

a) il prodotto è un prodotto di cui all’articolo 2, paragrafo 1 (ossia, prodotti agricoli vivi o non trasformati, compresi sementi e altro materiale riproduttivo vegetale; prodotti agricoli trasformati destinati a essere utilizzati come alimenti; mangimi);

b) si versa in uno dei casi seguenti:

i) il prodotto è conforme ai capi II, III e IV del presente regolamento e tutti gli operatori e i gruppi di operatori di cui all’articolo 36, compresi gli esportatori nel paese terzo in questione, sono stati sottoposti a controlli da parte delle autorità di controllo o degli organismi di controllo riconosciuti a norma dell’articolo 46 e tali autorità od organismi hanno fornito a tutti i detti operatori, gruppi di operatori ed esportatori un certificato che attesta che sono in conformità con il presente regolamento;

ii) nei casi in cui proviene da un paese terzo riconosciuto a norma dell’articolo 47, il prodotto rispetta le condizioni stabilite nel pertinente accordo commerciale; o

iii)  nei casi in cui proviene da un paese terzo riconosciuto a norma dell’articolo 48, il prodotto rispetta norme di produzione e di controllo equivalenti di detto paese terzo ed è importato con un certificato di ispezione attestante tale conformità rilasciato dalle autorità competenti, dalle autorità di controllo o dagli organismi di controllo di quel paese terzo.

Ai sensi, poi, dell’art. 47 del Reg. (UE) n. 848/2018, intitolato «Equivalenza nell’ambito di un accordo commerciale», i Paesi terzi riconosciuti di cui al sopra riportato art. 45, parag. 1, lett. b), punto ii), sono Paesi che l’Unione, nell’ambito di un accordo commerciale, ha riconosciuto come aventi un sistema di produzione che soddisfa obiettivi e principi uguali a quelli dell’Unione, applicando norme che assicurano lo stesso livello di garanzia di conformità.

L’art. 48 del medesimo regolamento, relativo all’equivalenza a norma dell’abrogato Reg. (CE) n. 834/2007, prevede che i Paesi terzi riconosciuti di cui al ridetto art. 45, parag. 1, lett. b), punto iii), sono i Paesi riconosciuti ai fini dell’equivalenza, compresi i Paesi riconosciuti in via transitoria (con termine del riconoscimento al 31.12.2025).

Infine, l’allegato II del Reg. (UE) n. 848/2018, il quale contiene una parte relativa alle norme di produzione per alimenti trasformati, dispone che nel settore della trasformazione degli alimenti, possono essere utilizzati sostanze minerali (anche oligoelementi), vitamine, aminoacidi e micronutrienti, a condizione che il loro impiego negli alimenti per il consumo normale sia “direttamente previsto per legge”, ossia direttamente previsto da disposizioni del diritto dell’Unione o da disposizioni del diritto nazionale compatibili con il diritto dell’Unione; con la conseguenza che gli alimenti non possono essere immessi sul mercato come alimenti per il consumo normale se tali sostanze minerali, vitamine, aminoacidi o micronutrienti non siano stati aggiunti.

***

Sigillati i punti chiave valevoli all’inquadramento normativo della vicenda in esame, è possibile ora procedere alla disamina della sentenza della Corte di Giustizia e, in particolare, della risposta motivata della stessa alla sopra riportata questione pregiudiziale.

In questo contesto, si presti attenzione, in particolare, al dettato del sopra riportato art. 45 del regolamento.

 

La risposta della Corte di Giustizia: motivazioni e dispositivo

In linea generale, sull’uso del logo di produzione biologica dell’Ue e di termini riferiti alla produzione biologica, la Corte rileva che secondo la formulazione dell’art. 30, parag. 2, e dell’art. 33, parag. 1, del Reg. (UE) n. 848/2018, l’uso di termini riferiti alla produzione biologica e l’uso del logo di produzione biologica dell’Unione europea sono autorizzati solo per prodotti conformi al detto regolamento.

Tali termini e tale logo possono essere utilizzati per prodotti biologici, siano essi ottenuti nell’Ue o importati da un Paese terzo ai fini della loro immissione sul mercato dell’Ue come prodotti biologici, solo a condizione che i prodotti siano conformi alle prescrizioni stabilite nel Reg. (UE) n. 848/2018.

 

Differenze tra prodotti ottenuti nell’Ue e prodotti importati da Paesi terzi

Sempre in forza del Reg. (UE) n. 848/2018, occorre tuttavia procedere ad una distinzione tra i prodotti ottenuti nell’Ue e quelli importati da un Paese terzo ai fini della loro immissione sul mercato dell’Unione come prodotti biologici.

Gli alimenti trasformati prodotti nell’Ue devono, in applicazione dell’art.16, parag. 1 del regolamento, conformarsi alla totalità delle norme dettagliate di produzione e agli atti di esecuzione di cui alle disposizioni dedicate del regolamento stesso.

Per un prodotto non realizzato nell’Unione è all’art. 45 del ridetto regolamento che deve farsi riferimento, stabilendo esso le (tre) condizioni cumulative che un prodotto deve soddisfare per poter essere importato da un Paese terzo e immesso sul mercato dell’Unione come prodotto biologico.

Anzitutto, occorre che il prodotto importato sia un prodotto di cui all’art. 2, parag. 1, di tale regolamento, di cui all’elenco sopra riportato.

In secondo luogo, occorre che gli operatori dei Paesi terzi siano in grado di fornire agli importatori e alle autorità nazionali nell’Unione e in tali Paesi terzi tutte le informazioni necessarie per garantire la rintracciabilità del prodotto in questione.

In terzo luogo, il prodotto importato da un Paese terzo deve rientrare in uno dei sopra riportati casi i), ii) o iii), previsti dall’art. 45, parag. 1, lett. b).

E’ opportuno sottolineare che, nell’ambito della terza condizione poc’anzi riportata, i tre predetti casi prospettati, rispettivamente, ai punti da i) a iii) dell’art. 45, hanno carattere alternativo, cosicché è sufficiente che il prodotto importato da un Paese terzo nel rispetto delle prime due condizioni rientri in uno qualsiasi dei tre casi previsti dalla terza condizione affinché possa essere immesso sul mercato dell’Unione come prodotto biologico.

 

Differenze all’interno dei soli prodotti importati da Paesi terzi

Dalla struttura dell’art. 45, parag. 1, lett. b) del Reg. (UE) n. 848/2018 emerge una chiara distinzione, all’interno dei prodotti importati da Paesi terzi come prodotti biologici, tra:

– da un lato, quelli conformi ai capi II, III e IV di detto regolamento [art. 45, parag. 1, lett. b), punto i)] e,

– dall’altro, quelli disciplinati da norme equivalenti nel loro paese di origine, riconosciute come tali vuoi in forza di un accordo commerciale, vuoi in forza di una misura unilaterale dell’Unione [art. 45, parag. 1, lett. b), punti ii) e iii)].

Solo il caso previsto all’art. 45, parag. 1, lett. b), punto i) richiede che il prodotto importato sia conforme alle disposizioni dei capi II (obiettivi e principi della produzione biologica), III (norme di produzione) e IV (etichettatura) del Reg. (UE) n. 848/2018

Diversamente, un prodotto rientrante nel caso di cui all’art. 45, parag. 1, lett. b), punto iii), anche qualora non rispetti tutte le norme di produzione contenute nel capo III, potrebbe essere immesso sul mercato dell’Ue come prodotto biologico, nella misura in cui si tratta di un prodotto che proviene da un Paese terzo riconosciuto dall’Unione ai fini dell’equivalenza e che rispetta, in particolare, le norme di produzione in vigore in tale Paese terzo, considerate dall’Unione equivalenti a quelle enunciate in detto capo III.

Il che significa che la normativa del Paese terzo in questione non deve essere identica a quella dell’Unione, bensì assicurare lo stesso «livello di garanzia della conformità» di quello richiesto da quest’ultima per i prodotti fabbricati nell’Ue.

***

Ma attenzione, una cosa è la possibilità di essere immesso nel mercato dell’Ue come prodotto biologico, altra e diversa cosa è poter utilizzare termini riferiti alla produzione biologica e il logo di produzione biologica dell’Unione europea.

 

In particolare, l’uso di termini riferiti alla produzione biologica e del logo di produzione biologica dell’Unione europea

La Corte chiarisce come sia l’art. 30, parag. 2, sia l’art. 33, parag. 1, del Reg. (UE) n. 848/2018 autorizzino l’uso, rispettivamente, di termini riferiti alla produzione biologica e del logo di produzione biologica dell’Unione europea solo per prodotti conformi a tale regolamento, ossia per i prodotti fabbricati nell’Ue o in Paesi terzi nel rispetto delle norme di produzione stabilite dal Reg. (UE) n. 848/2018.

E come nessuna disposizione del predetto regolamento consenta l’uso di detti termini o di detto logo per prodotti provenienti da Paesi terzi riconosciuti ai fini dell’equivalenza che, sebbene possano essere importati nell’Unione in applicazione del ridetto art. 45, parag. 1, lett. b), punti ii) o iii), non siano tuttavia conformi alle norme di produzione stabilite da quest’ultimo.

Peraltro, continua la Corte, consentire che termini riferiti alla produzione biologica e il logo di produzione biologica dell’Unione europea siano utilizzati, nel mercato interno dei prodotti biologici, sia per i prodotti fabbricati nell’Ue o in Paesi terzi nel rispetto delle norme di produzione stabilite dal Reg. (UE) n. 848/2018 (i soli che possano riportare tali riferimenti), sia per quelli fabbricati in Paesi terzi secondo norme soltanto equivalenti a tali regole di produzione, nuocerebbe alla concorrenza leale nel mercato interno dei prodotti biologici e creerebbe ambiguità che potrebbero indurre in errore i consumatori.

Né, per ovviare ai detti rischi, risulta sufficiente l’aggiunta dell’indicazione del luogo di coltivazione delle materie prime agricole di cui il prodotto è composto, posto che una tale indicazione non consentirebbe al consumatore di sapere se un prodotto importato sia conforme alle norme di produzione del regolamento 848/2018 o se rispetti soltanto norme di produzione equivalenti a quelle di tale regolamento.

Infatti, lo scopo del logo di produzione biologica dell’Unione europea, che costituisce un attestato ufficiale dell’Ue, è quello di informare i consumatori, in modo chiaro e inequivocabile, che il prodotto su cui compare è pienamente conforme a tutti i requisiti stabiliti dal Reg. (UE) n. 848/2018, e non solo a norme equivalenti.

 

 

Per quanto sopra, in relazione all’uso del logo di produzione biologica dell’Ue e dei termini riferiti alla produzione biologica, la Corte dichiara e chiarisce che un prodotto importato da un Paese terzo per essere immesso sul mercato dell’Unione come prodotto biologico ai sensi dell’art. 45, parag. 1, lett. b), punto iii), del regolamento in esame – ossia, proveniente da Paese terzo riconosciuto ai fini dell’equivalenza –  non può utilizzare per la sua etichettatura né il logo di produzione biologica dell’Unione europea né, in linea di principio, termini riferiti alla produzione biologica.

 

 

Nella premessa alla presente disamina avevamo rappresentato l’esistenza di un “ma” alla regola sopra riportata.

Ed eccone di seguito l’esplicazione.

 

L’uso del logo di produzione biologica del Paese terzo

Si è detto che l’art. 45, parag. 1, lett. b), punto iii) del Reg. (UE) n. 848/2018 conferisce alla Commissione la competenza a riconoscere che le norme di un Paese terzo sono equivalenti a quelle del detto regolamento europeo.

E’ chiaro, oltre che logico, come un tale riconoscimento debba essere in grado di comportare determinati effetti; diversamente, esso non avrebbe ragion d’essere.

Ed infatti, determinati prodotti importati come prodotti biologici, in base al regime di equivalenza di cui all’art. 45, parag. 1, lett. b), punto iii), del regolamento 848/2018, legittimamente recano il logo di produzione biologica del Paese terzo da cui sono importati. Un tale logo, peraltro, può contenere termini riferiti alla produzione biologica, quali «biologico», «ecologico» o «organic» o derivati e diminutivi di tali termini, quali «bio» o «eco».

Sul punto, la Corte di Giustizia ha chiarito che l’apposizione, a tali prodotti importati, del logo di produzione biologica del Paese terzo da cui sono importati non nuoce alla concorrenza leale nell’ambito del mercato interno dei prodotti biologici, né crea ambiguità che possa indurre in errore i consumatori.

Questo perché l’uso di un logo di produzione biologica di un Paese terzo, diverso dal logo di produzione biologica dell’Unione europea, non solo non colloca i prodotti di cui trattasi sullo stesso piano ai fini della concorrenza, ma neppure può dare l’impressione che i prodotti importati così contrassegnati siano conformi a tutte le prescrizioni stabilite dal diritto dell’Unione, in particolare quelle del Reg. (UE) n. 848/2018.

Pertanto, ogni possibilità di confusione circa la provenienza del prodotto dall’Unione o da un Paese terzo può ritenersi scongiurata.

Da ciò consegue che i prodotti importati in applicazione dell’art. 45, parag. 1, lett. b), punto iii) del Reg. (UE) n. 848/2018, che hanno accesso al mercato dell’Unione «come prodotti biologici», devono poter utilizzare il logo di produzione biologica del Paese terzo da cui provengono, anche qualora tale logo contenga termini identici a quelli riferiti alla produzione biologica ai sensi dell’art. 30, paragrafo 1, del regolamento europeo.

 

Riconducendo tutte le osservazioni sopra riportate al caso de quo, in risposta alla predetta questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha statuito, in sintesi, come segue:

– da un lato, né il logo di produzione biologica dell’Unione europea né, in linea di principio, termini riferiti alla produzione biologica possono essere utilizzati per un alimento trasformato, importato da un Paese terzo riconosciuto ai fini dell’equivalenza per essere immesso sul mercato dell’Unione come prodotto biologico, se tale alimento, contenendo minerali e vitamine di origine non vegetale, non soddisfa i requisiti stabiliti nelle norme di produzione per alimenti trasformati, di cui alle disposizioni all’uopo previste e contenute nel Reg. (UE) n. 848/2018;

– dall’altro, il logo di produzione biologica di tale Paese terzo può tuttavia essere utilizzato nell’Unione per un alimento siffatto, anche qualora tale logo contenga termini riferiti alla produzione biologica ai sensi del medesimo regolamento.

***

Come è possibile vedere, la questione dell’equivalenza delle norme di produzione tra l’Unione europea e i Paesi terzi è stata al centro del dibattito.

La Corte ha chiarito che anche se le norme di un Paese terzo sono riconosciute come equivalenti, ciò non consente automaticamente l’uso del logo europeo sui prodotti importati. Rimane ferma, perciò, la regola fondamentale, in virtù della quale solo i prodotti che rispettano completamente le norme europee possono utilizzare tale logo.

La circostanza per cui il logo di produzione biologica di un Paese terzo riconosciuto ai fini dell’equivalenza possa essere utilizzato nell’Ue per prodotti che soddisfano le norme di quel Paese ma non tutti i requisiti richiesti dal diritto dell’Unione, consente una certa flessibilità per tali prodotti importati, purché tuttavia non creino confusione con i marchi europei.

Tali questioni evidenziano l’importanza della regolamentazione rigorosa nel settore dei prodotti biologici e il ruolo della Corte nel garantire l’applicazione uniforme delle normative dell’Unione, proteggendo così sia i consumatori che gli operatori all’interno del mercato unico europeo.

 

 

[1] Il testo completo della sentenza è reperibile in:

https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=290703&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=5451429

 

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