avv. Valeria Pullini
Il presente scritto costituisce uno spunto per rendere, anzitutto, un quadro descrittivo della natura del reato contravvenzionale portato dall’art. 5, lett. b) della L. 283/1962, recante la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.
Numerosissime sono le sentenze sia di merito che di legittimità che, negli anni o, meglio, nei decenni, hanno statuito e statuiscono su questo tipo di reato in materia agroalimentare, probabilmente in quanto trattasi di illecito penale di facile e frequente verificazione.
Occorre dire, però, che, nonostante la copiosissima giurisprudenza sul punto e, così, la considerevole quantità di casi trattati da cui attingere nozioni utili ai fini della più corretta qualificazione del reato in parola, sovente il giudice adìto, prima di decidere sulle diverse fattispecie concrete di volta in volta considerate, avverte l’esigenza di riproporre una compiuta disamina circa l’inquadramento giuridico di tale fattispecie contravvenzionale, evidentemente non sempre del tutto chiaro.
In altri termini, accade ancora frequentemente di cadere in errore, confondendo una situazione di non corretta conservazione dell’alimento (cattiva conservazione, per l’appunto) con, ad esempio, lo stato di alterazione – fisica, chimica e/o microbiologica – dell’alimento stesso.
Si tratta di fattispecie diverse, disciplinate da disposizioni normative altrettanto diverse.
Così come continua a non essere chiara la struttura dell’illecito penale in parola, ossia se il reato di cui alla lettera b) del suddetto art. 5 sia riconducibile ad un reato di pericolo (presunto o concreto) oppure ad un reato di danno.
Infatti, pur essendo contestualizzata all’interno dell’art. 5 della L. 283/1962, ove sono elencate le diverse ipotesi di contravvenzioni riconducibili a reati di pericolo presunto, la fattispecie di cui alla lettera b) è stata qualificata dalle SS.UU., nell’ormai lontano 2001, come reato di danno, nei termini infra esposti.
Iniziamo con l’inquadrare il reato in esame sotto il profilo normativo, proponendo il contenuto dell’intero art. 5, L. 283/1962.
L’art. 5 della L. 283/1962
La norma stabilisce il divieto di impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari:
a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali;
b) in cattivo stato di conservazione;
c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali;
d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione;
e) – soppresso –
f) – soppresso –
g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati senza la osservanza delle norme prescritte per il loro impiego.
In generale, le contravvenzioni sopra elencate – tranne quella di cui alla lettera b), qui in esame – sono qualificabili come reati di pericolo presunto, poiché non è necessario che si determini in concreto un danno e nemmeno un pericolo immediato; è sufficiente che l’azione o l’omissione commesse siano idonee a determinare un futuro pericolo per la pubblica o privata incolumità.
Al fine di meglio comprendere l’ambito nel quale si opera, nel reato di pericolo l’offesa consiste nella messa in pericolo del bene giuridico protetto; pertanto, in tale contesto, la tutela penale risulta anticipata.
Nell’ambito di tale più ampia categoria dei reati di pericolo è possibile distinguere tra reati di pericolo presunto e reati di pericolo concreto.
Tale distinzione opera alla luce della diversa posizione che il pericolo assume nell’ambito considerato dalla norma.
E così, mentre nei reati di pericolo concreto il pericolo è elemento costitutivo della fattispecie, con la conseguenza che il giudice avrà il compito di accertare caso per caso se il bene giuridico tutelato sia stato concretamente interessato da un effettivo pericolo o meno, nei reati di pericolo presunto il giudizio di pericolosità è formulato dal legislatore in via preventiva ed è relativo alla condotta antigiuridica in sé considerata.
Nel reato di pericolo presunto, pertanto, il giudice è chiamato ad accertare la sussistenza del comportamento antigiuridico, a prescindere dal fatto che tale comportamento, nel caso concreto oggetto del giudizio, abbia causato o meno un pericolo effettivo alla salute.
Per la contravvenzione di detenzione o vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione, tuttavia, vi sono ulteriori osservazioni da fare, trattandosi di fattispecie che in parte si discosta dalle altre, parimenti previste dalla medesima norma, in punto di individuazione della categoria di reato di appartenenza.
In ciò può aiutarci la Cassazione penale, con la recente sentenza n. 20937 del 27 maggio 2021.
Qualificazione del reato di cui all’art. 5, lett. b), L. 283/1962 come reato di danno – significato
Con la predetta sentenza n. 20937/2021, la Cassazione ha ritenuto la sussistenza del reato di cattivo stato di conservazione nella detenzione per la vendita di prodotti ittici di vario tipo privi di etichettatura attestante la tracciabilità, di numero di lotto, di data di confezionamento e di scadenza e senza alcuna procedura di congelamento.
In tale pronuncia, la Suprema Corte ha ribadito, anzitutto, il proprio già consolidato orientamento in base al quale il giudice può apprezzare il cattivo stato di conservazione degli alimenti senza necessità di prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione.
Sul punto, vale la pena ricordare anche la sentenza della Cassazione penale, Sez. III, n. 2690 del 23 gennaio 2020, la quale ha statuito nel senso che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 5, lett. b), L. 283/1962, il cattivo stato di conservazione degli alimenti – che, come poi confermato, il giudice può accertare pure in assenza di analisi di laboratorio, mediante il ricorso ad altri elementi di prova – deve intendersi realizzato nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate, prodromiche alla successiva vendita.
L’insussistenza della necessità di analisi di laboratorio o perizie per accertare il cattivo stato di conservazione è stato ivi esplicato, chiarendo come il giudice di merito possa considerare altri elementi di prova, ad esempio le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione, ed affermando inoltre che il cattivo stato di conservazione dell’alimento può assumere rilievo anche per il solo fatto dell’obiettivo insudiciamento della sola confezione, conseguente alla sua custodia in locali sporchi e, quindi, igienicamente inidonei alla conservazione, così come lo stesso è configurabile anche nel caso di detenzione in condizioni igieniche precarie.
In entrambe le summenzionate pronunce, la Corte si è soffermata in particolare sulla statuizione delle Sezioni Unite (SS.UU, n. 443 del 19.12.2001), che hanno qualificato l’illecito penale di cui all’art. 5, lett. b) della L. 283/1962 come reato di danno.
Vediamone il significato.
La Suprema Corte a Sezioni Unite spiega come la disposizione di cui alla lettera b) dell’art. 5 sia finalizzata non tanto a prevenire mutazioni dell’alimento che, nelle altre parti della L. 283/1962, art. 5, sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura.
Conseguentemente, si è escluso che la contravvenzione si inserisca nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti gradualmente più gravi in relazione alle successive lettere indicate dall’art. 5, perché, rispetto ad essi, è figura autonoma di reato, cosicché, ove ne ricorrano le condizioni, può anche configurarsi il concorso.
Le Sezioni Unite, sempre nella medesima pronuncia del 2001, hanno anche precisato che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza.
La Corte, nella sentenza del 2021 e sempre rifacendosi a pregresse pronunzie di legittimità, ha chiarito come la natura di reato di danno attribuita dalle SSUU alla contravvenzione in esame non richieda la produzione di un danno alla salute, poiché l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura.
Ad ulteriore esplicazione della natura del reato contravvenzionale in esame, utile si rivela essere una recentissima sentenza della Sezione III della Cassazione penale (Cass. pen., Sez. 3, n. 5672/2024) la quale, nel fornire ulteriori esplicazioni circa i requisiti valevoli alla riconduzione di una fattispecie concreta alla fattispecie astratta prevista dall’art. 5, lett. b), pone anche alcuni interessanti riferimenti al rapporto tra l’illecito penale in parola e l’illecito amministrativo di cui all’art. 6, comma 5, del D. Lgs. 193/2007, relativo al mancato rispetto dei requisiti di igiene di cui ai Regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004.
Ulteriori chiarimenti sul reato di cattiva conservazione di prodotti alimentari
Vertendo in tema di alimenti surgelati, la Corte ha precisato che configura il reato in questione [art. 5, lett. b), L. 283/1962] la detenzione di alimenti surgelati in violazione del disposto dell’art. 3 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 110, nel caso in cui la preparazione dei prodotti da surgelare e l’operazione di surgelamento non siano state effettuate “senza indugio” e osservando le modalità normativamente previste.
La fattispecie in contestazione è integrata anche nel caso di mero congelamento non appropriato dei prodotti – come nel caso di congelamento in proprio o nel caso di ricongelamento – perché essa si incentra sul dato estrinseco del cattivo stato di conservazione degli stessi.
La Corte ha poi ribadito, ulteriormente confermandolo, che il danno alla salute dei consumatori non è elemento costitutivo della fattispecie, poiché la configurabilità del reato prescinde dalla presenza di un deperimento degli alimenti, di microbi, parassiti, alterazioni, in quanto non esige un previo accertamento sulla commestibilità, né il verificarsi di un danno per la salute del consumatore.
Non sussiste, infine, alcun rapporto di specialità fra l’illecito amministrativo di cui all’art. 6, comma 5, del D. Lgs. 193/2007 e l’illecito penale di cui all’art. 5, lettera b), L. n. 283/1962, posto che la prima norma prevede la clausola “Salvo che il fatto costituisca reato“, che riserva l’applicazione preferenziale della sanzione penale su quella amministrativa, qualora la specifica condotta ivi considerata integri gli estremi di un reato.
In ogni caso, specifica la Corte, l’oggettività giuridica della fattispecie amministrativa è diversa da quella della fattispecie penale.
Il richiamato art. 6, comma 5, D. Lgs. 193/2007 sanziona, infatti, il mancato rispetto dei requisiti di igiene di cui ai regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004, che non necessariamente trasmoda in un cattivo stato di conservazione degli alimenti; mentre la disposizione penale si riferisce a fattispecie nelle quali la cattiva conservazione potrebbe non essere dovuta al mancato rispetto dei citati regolamenti europei, cosicché le due condotte ben possono concorrere con conseguente possibilità di una contemporanea applicazione delle due norme sanzionatorie.