avv. Valeria Pullini
Tra le informazioni che devono obbligatoriamente figurare sull’etichettatura dei prodotti alimentari troviamo quella prevista all’art. 9, parag. 1, lett. h) del Reg. (UE) n. 1169/2011, ossia l’indicazione del nome o ragione sociale e dell’indirizzo dell’operatore del settore alimentare (OSA) responsabile ai sensi dell’art. 8, parag. 1 del medesimo regolamento.
L’art. 8, parag. 1 sopra citato si riferisce all’OSA responsabile delle informazioni sugli alimenti ed è il soggetto con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto. Qualora tale operatore non fosse stabilito nell’Ue, l’OSA responsabile nei termini suddetti è l’importatore nel mercato dell’Unione.
Così esposte, le norme appaiono chiare e lineari.
Sennonché, dalla data di applicazione del Reg. (UE) n. 1169/2011, che risale all’ormai lontano anno 2014, a tutt’oggi queste disposizioni continuano a destare difficoltà di comprensione ed applicazione al caso concreto il quale, come noto, non è univoco, bensì caratterizzato da una moltitudine di situazioni differenti, anche conseguenti alla varietà e variabilità degli scambi commerciali tra operatori del settore.
Cercheremo, con il presente elaborato, di apportare un po’ di chiarezza, considerando quanto meno le situazioni di più frequente verificazione.
La responsabilità ai sensi dell’art. 8 del Reg. (UE) n. 1169/2011
Partendo dal dato normativo, è opportuno procedere all’inquadramento prodromico alla norma portata dall’art. 8 del Reg. (UE) n. 1169/2011, in particolare il “considerando” 21 del regolamento stesso, il quale chiarisce che:
“per evitare la frammentazione delle norme relative alla responsabilità degli operatori del settore alimentare in relazione alle informazioni sugli alimenti, è opportuno chiarire le responsabilità di tali operatori in questo ambito. Tale chiarimento dovrebbe essere conforme agli obblighi nei confronti del consumatore di cui all’articolo 17 del regolamento (CE) n. 178/2002”.
Per inciso, l’art. 17 del regolamento da ultimo citato (relativo ai principi e requisiti generali della legislazione alimentare), stabilisce che:
“Spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte”.
Ora, come chiarito dal Ministero dello Sviluppo Economico con la Circolare n. 170164 del 30.9.2014, la trasposizione normativa del predetto “considerando” 21 risiede nell’art. 8 del Reg. (UE) n. 1169/2011, dedicato alle “Responsabilità”, che al paragrafo 1 identifica il soggetto responsabile delle informazioni sugli alimenti e, al paragrafo 2, ne chiarisce la portata, nei seguenti termini:
“1. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione.
2. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti assicura la presenza e l’esattezza delle informazioni sugli alimenti, conformemente alla normativa applicabile in materia di informazioni sugli alimenti e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali”.
I successivi paragrafi dell’art. 8 disciplinano le ulteriori responsabilità – sempre in materia di informazioni sugli alimenti – in capo agli OSA diversi dal soggetto responsabile ai sensi del paragrafo 1.
In particolare, i paragrafi 3 e 4 stabiliscono, rispettivamente, che:
- (3) gli OSA che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti non forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle loro conoscenze in qualità di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti;
- (4) gli OSA, nell’ambito delle imprese che controllano, non modificano le informazioni che accompagnano un alimento se tale modifica può indurre in errore il consumatore finale o ridurre in qualunque altro modo il livello di protezione dei consumatori e la possibilità di effettuare scelte consapevoli. Essi sono responsabili delle eventuali modifiche apportate alle informazioni sugli alimenti che accompagnano il prodotto stesso.
Il paragrafo 5 del medesimo art. 8, invece, che così dispone:
“5. gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, assicurano e verificano la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di informazioni sugli alimenti e dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività”,
richiama l’obbligo di diligenza professionale cui sono tenuti tutti gli OSA della filiera, a partire dall’importazione o dalla produzione sino alla commercializzazione degli alimenti.
Si tratta di una responsabilità aggiuntiva rispetto a quella del paragrafo 2 e discende dalla responsabilità in materia di sicurezza alimentare di cui al sopra menzionato art. 17 del Reg. (CE) n. 178/2002.
I paragrafi da 6 a 8 dell’art. 8, invece, disciplinano le responsabilità degli OSA nelle fasi precedenti la presentazione del prodotto preimballato al consumatore finale e alle collettività.
Con la suddetta Circolare n. 170164/2014 il MiSE ha chiarito che la “responsabilità” disciplinata dall’art. 8 del Reg. (UE) n. 1169/2011 si riferisce alla sola responsabilità delle informazioni sugli alimenti.
Ovviamente vi sono poi anche le responsabilità per la violazione di altre norme (in primo luogo, la violazione della disciplina normativa in materia igienico-sanitaria e della sicurezza alimentare, di cui al ridetto Reg. CE n. 178/2002, delle norme europee che formano il cd. “pacchetto igiene” e di quelle nazionali di adeguamento), che non rientrano nell’accezione di responsabilità ai sensi dell’art. 8.
Inoltre, nell’ambito dell’art. 8 stesso, vi sono diverse declinazioni di responsabilità.
Infatti, il soggetto responsabile della presenza e dell’esattezza delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o ragione sociale è commercializzato il prodotto preimballato (oppure l’importatore nel mercato dell’Ue) ma, come visto sopra, vi sono ulteriori responsabilità in tema di informazioni sugli alimenti in capo ad altri OSA, che riguardano le violazioni dei paragrafi dell’art. 8 diversi dai paragrafi 1 e 2
Il raccordo tra l’art. 8, parag. 1 e l’art. 9, parag. 1, lett. h) del Reg. (UE) n. 1169/2011
Come anticipato in premessa, ai sensi dell’art. 9, parag. 1, lett. h) del Reg. (UE) n. 1169/2011 è obbligatorio riportare sull’etichetta dell’alimento l’indicazione del nome o ragione sociale e dell’indirizzo dell’OSA responsabile ai sensi dell’art. 8, parag. 1.
E’ palese che tali due norme siano in stretta connessione tra loro.
Ciò che all’evidenza non risulta essere ancora chiaro è che l’adempimento dell’obbligo stabilito all’art. 9, lett. h) dipende dall’assolvimento del disposto dell’art. 8, parag. 1, non il contrario.
In altri termini, come spiegato dal MiSE nella circolare del 2014 più volte richiamata, prima l’art. 8, parag. 1 determina quale sia l’OSA responsabile delle informazioni sugli alimenti e solo successivamente l’art. 9, lett. h) impone l’indicazione in etichetta del relativo nome/ragione sociale ed indirizzo.
Pertanto, l’obbligo di cui all’art. 9 lett. h) si considera adempiuto correttamente se vengono riportati i dati dell’OSA responsabile, identificato ai sensi dell’art. 8, parag. 1.
Occorre capire ora come identificare l’OSA responsabile ai sensi del citato art. 8, parag. 1.
Si è detto che il soggetto responsabile è l’OSA con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore avente sede nel territorio dell’Ue.
La DG Sanco, in ordine alla corretta interpretazione del termine “commercializzare”, ha fatto riferimento al nome con il quale il prodotto si presenta al consumatore nel campo visivo principale.
A tale figura, l’art. 2 del D. Lgs. 231/2017 (recante in Italia il sistema sanzionatorio per la violazione delle disposizioni del Reg. UE n. 1169/2011) ha aggiunto anche l’operatore del settore alimentare il cui nome/ragione sociale sia riportato in un marchio depositato o registrato: di conseguenza, l’identificazione del soggetto responsabile delle informazioni può essere effettuata anche tramite un marchio, regolarmente depositato o registrato presso gli uffici competenti, che contenga il nome o la ragione sociale dell’interessato.
Va precisato, a tal ultimo riguardo, che per “nome” non si intende esclusivamente la denominazione dell’azienda interessata, ma anche un’indicazione o un marchio di fantasia che risulti comunque associato al responsabile.
Pertanto, nel caso di spendita di un marchio, il responsabile delle informazioni ai sensi dell’art. 8, parag. 1 è il titolare del marchio stesso (o un licenziatario d’uso di tale marchio qualora siano intervenuti accordi in tal senso tra il proprietario del marchio e un diverso soggetto).
L’uso in etichetta del marchio registrato o depositato, quindi, è costitutivo di responsabilità ai sensi dell’art. 8, parag. 1 per il titolare del marchio stesso e ciò accade:
- sia nel caso di prodotto che riporta un marchio contenente il nome del produttore stabilito nell’Ue (es. yogurt Danone; bevanda Coca Cola);
- sia nel caso di prodotto ove il nome riportato nel marchio non corrisponda al nome stesso del produttore (es. prodotto a marchio della Unilever);
- sia ancora nel caso di prodotto private label che riporti un marchio contenente il nome del distributore stabilito nell’Ue (es. prodotti a marchio Carrefour);
- sia infine nel caso di prodotto private label ove il nome riportato nel marchio non corrisponda al nome del distributore ma sia ad esso riconducibile (es. zucchero di canna Boni, prodotto private label a marchio della Colruyt).
In tutti i casi sopra riportati, l’OSA identificato ai sensi dell’art. 8, parag. 1 è responsabile delle informazioni sugli alimenti sia in caso di produzione diretta, sia nel caso in cui il prodotto commercializzato con il proprio nome sia realizzato da terzi.
Individuato così il soggetto responsabile ai sensi dell’art. 8, parag. 1 andrà poi assolto l’obbligo d’indicazione del relativo nome/ragione sociale ed indirizzo (fisico completo) ai sensi dell’art. 9, parag. 1, lett. h) del Reg. (UE) n. 1169/2011.
Ora, nel caso di private label, sempre il MiSE ha chiarito che l’OSA responsabile delle informazioni sugli alimenti – che in questo caso è il titolare del marchio riportato sull’etichetta e, perciò, è l’OSA, sia egli un’industria alimentare o della distribuzione, il cui nome/ragione sociale ed indirizzo devono obbligatoriamente figurare in etichetta ai sensi dell’art. 9, parag. 1, lett. h) – possa scegliere di aggiungere anche il nome e/o l’indirizzo del produttore.
Tale ultima informazione, pertanto, è un’indicazione di carattere volontario e come tale non può essere sostitutiva della predetta indicazione obbligatoria ai sensi dell’art. 9, lett. h).
Inoltre, in quanto indicazione facoltativa, essa deve rispettare i requisiti di cui agli artt. 36 e 37 del Reg. (UE) n. 1169/2011 e, quindi:
– non deve indurre in errore il consumatore sull’effettivo soggetto responsabile ai sensi dell’art. 8, parag. 1, dovendo essere chiari i ruoli degli operatori che figurano in etichetta;
– non deve occupare lo spazio disponibile dell’informazione obbligatoria di cui all’art. 9, parag. 1, lett. h).
Peraltro, sempre nell’ipotesi da ultimo considerata, l’indicazione del nome ed indirizzo del produttore, quando figurino già i dati del responsabile ai sensi dell’art. 8, parag. 1, ancorché possa essere un’informazione utile per il consumatore, non lo è però ai fini della responsabilità generale, che è del soggetto figurante sull’etichetta con cui il prodotto viene posto in vendita.
Per i prodotti importati in Ue da Paesi extra-Ue, l’art. 8 – come si è visto – stabilisce che il responsabile sia l’importatore nell’Unione, il quale – come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Ue – deve figurare con il proprio nome/ragione sociale e con l’indirizzo della sede posta in uno Stato dell’Ue.
Minore chiarezza, invece, sussiste per quanto avviene negli scambi intracomunitari e nei rapporti tra fabbricanti e commercianti degli Stati membri dell’Ue.
In tali casi ci si chiede chi sia il responsabile.
Anche il tal caso, l’orientamento prevalente è nel senso che il marchio riportato in etichetta sia costitutivo di responsabilità ai sensi dell’art. 8, parag. 1.
Tuttavia, a maggior ragione in queste ipotesi di operatori dislocati in più Stati membri, è rilevante considerare l’art. 8 nella sua interezza, ponendo particolare attenzione alle responsabilità emergenti anche ai sensi dei successivi paragrafi della norma in esame.
Infatti, nel caso di rilevazione, ad esempio, in Italia dell’uso errato della denominazione dell’alimento su un prodotto private label fabbricato in Germania e riportante il nome/ragione sociale e l’indirizzo del responsabile ex art. 8, parag. 1, con sede in Francia (titolare del marchio figurante in etichetta), nessun soggetto è esente da responsabilità, figuri o meno in etichetta, in quanto ciascuno è responsabile degli aspetti di propria competenza.
Ciò vale sicuramente in tutti i casi che si possano considerare, comprese le ipotesi di scambi all’interno di un unico territorio nazionale.
Ma la forza del dettato normativo scaturente dai paragrafi 3 e seguenti dell’art. 8 si fa sentire in particolare nell’ambito degli scambi commerciali tra più Stati dell’Unione.
L’operatore del settore commerciale (l’italiano dell’esempio suddetto) assume, infatti, la responsabilità della correttezza dell’etichetta, anche se non vi figura e non ha contribuito a realizzarla, perché in qualità di professionista della materia è tenuto a conoscere le norme in tema di etichettatura e, di conseguenza, ad astenersi dal porre in vendita i prodotti ad esse non conformi.
Poiché in materia vige il principio della territorialità, per cui la violazione viene accertata in Italia e la relativa sanzione va pagata in Italia, l’operatore italiano ben può essere chiamato a rispondere in merito, in particolare per i prodotti provenienti da altri Paesi.
Per concludere, si ricorda che le norme qui considerate trovano una puntuale disciplina sanzionatoria nel D. Lgs. 231/2017, il quale prevede sanzioni di carattere amministrativo pecuniario, salvo che il fatto costituisca reato.
Si auspica di avere contribuito a dare maggiore chiarezza alla comprensione del combinato disposto dell’art. 8, parag. 1 e dell’art. 9, parag. 1, lett. h) del Reg. (UE) n. 1169/2011, pur nella consapevolezza che i casi che si verificano nella realtà concreta sono molteplici e non tutti sono riconducibili agli esempi sopra considerati.