forma di formaggio morbier aoc

Sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue circa la riproduzione dell’aspetto e delle caratteristiche fisiche di un prodotto DOP. È un comportamento vietato? Anche se non c’è stato l’utilizzo della denominazione registrata?

avv. Giovanna Soravia

La Corte di Giustizia dell’UE si è da poco pronunciata sull’ampiezza dell’estensione dei regimi di qualità e della protezione loro concordata dalla specifica normativa, nel caso in cui la denominazione registrata non è stata utilizzata.

Ripercorriamo per sommi capi la vicenda giudiziale che ha condotto alla sentenza della Corte di Giustizia.

Nel 2013, in Francia, il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier (associazione per la tutela del formaggio Morbier) promuoveva un giudizio, avanti il Tribunale francese, contro la Società Fromagère du Livradois SAS lamentando che quest’ultima, nella sua attività di produzione e vendita di formaggio, teneva una condotta lesiva della DOP “Morbier”.

Occorre descrivere il prodotto in questione:

il formaggio Morbier è tipico della zona del Massiccio del Giura, sul confine con la Svizzera, definito nel relativo disciplinare di produzione[1] come “un formaggio prodotto con latte crudo vaccino, a pasta pressata, non cotta, di forma cilindrica piatta a facce piane e scalzo lievemente convesso, con diametro da 30 a 40 cm, altezza da 5 a 8 cm e peso da 5 a 8 kg. Esso presenta al centro una striscia nera orizzontale, unita e continua lungo tutto il taglio […]”.

Elemento caratteristico di tale formaggio è proprio la striscia nera orizzontale, di carbone vegetale.

La Società Fromagère poneva in commercio un formaggio dall’aspetto analogo a quello ora descritto, con la presenza della striscia scura orizzontale, pur senza fare uso della denominazione protetta Morbier DOP; il Syndacat riteneva che tale condotta fosse comunque lesiva della DOP, perché idonea a condurre in errore il consumatore sulla vera origine del formaggio, in violazione quindi dell’art.13, par.1, del Reg. UE n.1151/2012[2] (che riprende la formulazione del medesimo articolo del previgente Reg. n.506/2006, abrogato).

Il Tribunale respingeva il ricorso con sentenza del 14 aprile 2016, ed anche in secondo grado la Corte d’Appello nella sentenza del 16 giugno 2017 riteneva non sussistere alcuna responsabilità da parte della Società Fromagère nella commercializzazione di un formaggio avente caratteristiche fisiche pur contenute nel disciplinare del Morbier DOP, in quanto la normativa sui regimi di qualità mira a tutelare non l’aspetto di un prodotto ma la sua denominazione; il Syndicat adiva infine la Corte di Cassazione, insistendo affinchè fosse dichiarata l’illiceità della condotta commerciale posta in essere dalla Società Fromagère, contraria alle previsioni dell’art.13, Reg. UE n.1151/2012 e lesiva quindi della DOP.

Infatti, secondo il Syndicat, le DOP sono tutelate, anche in assenza di una riproduzione della denominazione vietata, contro qualsiasi altra prassi che possa essere idonea ad indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, come previsto dallo stesso art.13, par.1, lett.D) del Regolamento sui regimi di qualità.

La Suprema Corte francese è stata chiamata quindi a stabilire, per la prima volta e quindi con riguardo ad una questione del tutto inesplorata, se la vendita di un prodotto avente aspetto e caratteristiche fisiche analoghe o comunque vicine a quelle di una DOP rientri o meno nella previsione normativa sopra citata, che richiama “qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto”, e sia quindi lesiva della DOP, anche in assenza di un utilizzo della denominazione registrata.

Rilevando la sussistenza di dubbi sull’interpretazione di tale normativa, la Suprema Corte francese sospendeva il procedimento e rimetteva alla decisione della Corte di Giustizia dell’UE la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata o se debbano essere interpretati nel senso che essi vietano la presentazione di un prodotto protetto da una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della forma o dell’aspetto che lo caratterizzano, che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, anche se la denominazione registrata non viene utilizzata».

Nella presentazione ai fini della vendita di un prodotto alimentare, è vietato solo l’utilizzo di una denominazione registrata (protetta), oppure si deve ritenere vietata in senso più esteso anche la sola riproduzione dell’aspetto caratteristico o della forma di tale prodotto alimentare, sebbene non venga accompagnata dall’uso della denominazione protetta, idonea ad indurre il consumatore in errore circa la vera origine di quel prodotto?

Vendere un formaggio con la striscia nera orizzontale, quindi avente forma e aspetto tipici del Morbier DOP, senza l’utilizzo della relativa denominazione protetta, ricade nell’alveo più generale della “qualsiasi altra pratica…” vista sopra? Se sì, essendo tale ipotesi espressamente vietata dalla norma, fa sorgere una responsabilità della Società Fromagère?

Ebbene, nella causa C-490/19 la Corte di Giustizia dell’UE, Sezione Quinta, si è pronunciata con sentenza del 17 dicembre 2020.

Innanzitutto, nel risolvere la prima parte della questione, la Corte rileva che in virtù dell’art.13, par.1 le denominazioni protette sono tutelate rispetto diverse tipologie di condotte, alcune delle quali prescindono dall’utilizzo (diretto o indiretto) della denominazione, pertanto emerge dalla norma un elenco graduato di comportamenti vietati, dei quali solo quelli individuati dalla lett. A (“qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato”) presuppongono l’utilizzo della denominazione stessa. Gli altri comportamenti vietati, invece, non richiedono alcun utilizzo della denominazione, né diretto né indiretto.

In particolare, l’espressione “qualsiasi altra pratica” di cui alla lett. D si pone a chiusura di tale elenco graduato, e comprende in via generale ogni comportamento non specificatamente vietato ai sensi delle disposizioni di cui alle precedenti lett. A- C, che sia idoneo a indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte risolve la prima parte della questione pregiudiziale riconoscendo che l’ambito di applicazione dell’art.13, par.1, non è limitato all’utilizzo diretto o indiretto della denominazione registrata ma vieta anche comportamenti che prescindono da tale utilizzo.

Per quanto riguarda, poi, la conseguente seconda parte della questione interpretativa, la Corte di Giustizia è chiamata quindi a stabilire se la riproduzione della forma o dell’aspetto caratteristici di un prodotto DOP, tale da poter indurre in errore il consumatore, può rientrare nella previsione dell’art. 13, par. 1, lett. D e quindi essere considerata una condotta vietata perché lesiva della denominazione registrata (che, comunque, non è stata utilizzata).

Richiamando la ratio e gli obiettivi della normativa specifica in materia di regimi di qualità, la Corte evidenzia come tale forma di protezione è finalizzata principalmente a garantire ai consumatori che i prodotti da loro acquistati presentino delle caratteristiche e qualità derivanti e dovuti proprio alla loro provenienza geografica; soprattutto per le DOP, il legame con il territorio, addirittura con un luogo o un paese determinato, è fondamentale per il consumatore che pone la sua scelta d’acquisto sulla base della denominazione del prodotto[3]. Secondo la Corte tale denominazione registrata e il prodotto a cui viene applicata, da essa protetto, sono strettamente collegati, pertanto non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una DOP, anche senza l’utilizzo di questa sull’imballaggio o in etichetta, possa rientrare nel divieto dell’art. 13, par.1, lett.D, se di per sé in grado di far cadere in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.

È fondamentale inoltre valutare, nel caso specifico, se un elemento visivo che compare nella forma o nell’aspetto di un prodotto avente denominazione protetta sia un elemento caratteristico e particolarmente distintivo di quel prodotto, tale che una sua riproduzione possa effettivamente ingannare il consumatore e portarlo a credere che il prodotto recante la riproduzione di quell’elemento sia oggetto della denominazione registrata.

Nel caso in argomento, la striscia nera orizzontale è l’elemento visivo preponderante del formaggio Morbier DOP, riprodotto sui formaggi venduti dalla Società Fromagère.

In particolare, richiamando alcuni criteri adottati in precedenti sentenze[4], la Corte ricorda che l’idoneità della riproduzione dell’aspetto e della forma del prodotto ad indurre in errore il consumatore deve essere valutata considerando il consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, e tenendo conto delle modalità di presentazione e commercializzazione al pubblico e del contesto fattuale rilevanti nel caso di specie.

Nel vagliare la questione interpretativa proposta dalla Cassazione francese, la Corte di Giustizia dell’UE ha così concluso:

L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, devono essere interpretati nel senso che essi non vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata.

L’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 devono essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie.

 

 

[1] Tale descrizione, leggermente differente rispetto a quella originaria del 2000, è dovuta al Regolamento di esecuzione (UE) n. 1128/2013 della Commissione, del 7 novembre 2013, recante approvazione di una modifica minore del disciplinare di una denominazione registrata nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette.

[2] Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, che all’art.13 recita: Art. 13 – Protezione 1. I nomi registrati sono protetti contro:

  1. a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con tale nome o l’uso di tale nome consenta di sfruttare la notorietà del nome protetto, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nel materiale pubblicitario o sui documenti relativi al prodotto considerato nonché l’impiego, per il confezionamento, di recipienti che possano indurre in errore sulla sua origine; d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.

Se una denominazione di origine protetta o un’indicazione geografica protetta contiene il nome di un prodotto considerato generico, l’uso di tale nome generico non è considerato contrario al primo comma, lettera a) o b).

  1. Le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette non diventano generiche.
  2. Gli Stati membri adottano le misure amministrative e giudiziarie adeguate per prevenire o far cessare l’uso illecito delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette ai sensi del paragrafo 1, prodotte o commercializzate in tale Stato membro. A tal fine gli Stati membri designano le autorità incaricate di adottare tali misure secondo le procedure definite da ogni singolo Stato membro. Tali autorità offrono adeguate garanzie di oggettività e imparzialità e dispongono di personale qualificato e delle risorse necessarie per svolgere le loro funzioni.

[3] Infatti, secondo la definizione fornita dall’art.5 del Reg. UE n.1151/2012 “«denominazione di origine» è un nome che identifica un prodotto: a) originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati; b) la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e c) le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata”.

[4] Cfr. sentenze del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 25 e 28, nonché del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 47. Ancora, cfr. sentenza del 4 dicembre 2019, Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, C‑432/18, EU:C:2019:1045, punto 25.

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