CORTE DI GIUSTIZIA UE: CANAPA E CBD

avv. Valeria Pullini

 

Premessa

I più attenti o gli interessati si ricorderanno della pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale italiana (GU Serie Generale n. 255 del 15.10.2020), del Decreto del Ministero della salute del 1° ottobre 2020, relativo all’inserimento nella tabella dei medicinali con stupefacenti delle composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (CBD) ottenuto da estratti di Cannabis.

Nella premessa di tale decreto, il Ministero faceva riferimento al fatto che l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) stava considerando una richiesta di autorizzazione all’avvio della commercializzazione «di un medicinale, in soluzione orale contenente cannabidiolo, che ha già ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’European Medicines Agency (Ema)».

Tale medicinale – «controllato attraverso un programma di uso compassionevole, notificato all’Aifa» – sarebbe impiegato nel trattamento dei pazienti con sindrome di Dravet e sindrome di Lennox-Gastaut.

Acquisito il parere dell’ISS e del Consiglio superiore di sanità, favorevoli all’inserimento nella tabella dei medicinali del DPR 9 ottobre 1990, n. 309 – recante: «Testo unico delle leggi  in  materia  di  disciplina  degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope  e  di  prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza» con  relativo  regime  di fornitura con ricetta non ripetibile  (RNR)  delle  composizioni  per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di Cannabis – dal successivo 30 ottobre, l’olio di cannabidiolo (CBD) sarebbe diventato ufficialmente una sostanza stupefacente e, quindi, gli oli in commercio nei negozi, a decorrere da tale data, avrebbero dovuto considerarsi illegali.

Provvedimento, questo, fortemente criticato non solo per gli ingenti danni che ne conseguirebbero al relativo settore commerciale, alimentare ed anche cosmetico, ma altresì in quanto si è trattato di una decisione contraria ad un precedente parere dell’OMS.

Sul punto, a mezzo di un proprio rapporto fondato su analisi e studi scientifici condotti dall’OMS stessa, si è potuto stabilire come il CBD non sia una sostanza psicoattiva, non induca dipendenza fisica né provochi rischi di abuso.

Alla luce di ciò, l’OMS aveva già raccomandato alle Nazioni Unite di escludere espressamente dalla Convenzione sugli stupefacenti le composizioni di CBD con THC al di sotto dello 0,2%.

Sennonché, con un nuovo decreto del 28 ottobre scorso, il Ministero della salute ha sospeso l’entrata in vigore del decreto 1° ottobre (la cui legittimità, per quanto sopra indicato e per quanto si dirà in seguito, deve considerarsi fortemente in dubbio) e, quindi, l’inserimento del CBD estratto dalle piante di Cannabis nell’elenco delle sostanze psicotrope, in attesa di approfondimenti di carattere tecnico-scientifico (peraltro, da quegli stessi istituti – ISS e Consiglio superiore della sanità – che già avevano espresso parere favorevole a tale inserimento).

A chiarire la situazione è intervenuta di recente la Corte di Giustizia dell’Unione europea, considerato trattarsi non di una questione nazionale, bensì interpretativa del diritto europeo, come si vedrà a breve.

 

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UE: SENTENZA IN CAUSA C-663/18, 19 NOVEMBRE 2020 

La questione pregiudiziale

La questione pregiudiziale portata all’attenzione della Corte è nata all’interno di una causa nazionale avanti ad un Tribunale francese, che ha visto coinvolti gli ex amministratori di un’impresa che svolge la commercializzazione e la distribuzione di una sigaretta elettronica all’olio di cannabidiolo (CBD).

In particolare, il CBD era prodotto in Repubblica ceca a partire da piante di canapa coltivate legalmente e utilizzate nella loro interezza, foglie e fiori compresi, per poi venire importato in Francia ed esservi confezionato in cartucce per sigarette elettroniche.

Nei confronti di tali amministratori veniva avviato un procedimento penale poiché, in virtù della normativa francese, soltanto le fibre e i semi della canapa possono essere utilizzati a fini commerciali.

Essi venivano condannati dal Tribunale penale di Marsiglia a 18 e a 15 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena, nonché ad € 10.000 di ammenda.

Interposto appello avanti alla Corte d’appello di Aix-en-Provence, tale Giudice si interrogava sulla conformità al diritto dell’Unione della normativa francese, che vieta la commercializzazione del CBD legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi.

La Corte francese riteneva che, poiché il tasso di THC nella canapa legalmente commercializzata negli altri Stati membri è inferiore allo 0,2%, esattamente come nel caso di cui al procedimento avanti a sé instaurato, il CBD non potesse essere qualificato come «stupefacente».

Infatti, secondo le sentenze Wolf del 26 ottobre 1982 ed Evans Medical e Macfarlan Smith del 28 marzo 1995, solo il prodotto la cui nocività è dimostrata o generalmente riconosciuta e la cui importazione e commercializzazione è vietata in tutti gli Stati membri può essere così qualificato.

Nel caso specifico, le condizioni poste dalla Corte di Giustizia in via cumulativa nelle sentenze citate, affinché una misura nazionale «più restrittiva» possa essere considerata conforme al TFUE, non sarebbero state soddisfatte.

Come da procedura, il processo veniva sospeso e devoluta alla Corte la seguente questione:

«Se i regolamenti n. 1307/2013 (norme comuni sui pagamenti diretti agli agricoltori) e n. 1308/2013 (regolamento OCM), nonché il principio di libera circolazione delle merci, debbano essere interpretati nel senso che le disposizioni derogatorie stabilite dal decreto del 22 agosto 1990 (decreto francese), limitando la coltivazione, l’industrializzazione e la commercializzazione della canapa soltanto alle fibre e ai semi, comportano una restrizione non conforme al diritto [dell’Unione]».

Le conclusioni dell’Avvocato Generale

Particolare importanza rivestono le conclusioni dell’Avvocato Generale, di seguito riportate, le quali operano una rilevante analisi della normativa europea, con particolare riferimento allo stato giuridico della canapa industriale e dei cannabinoidi.

Conclusioni che la Corte ha fatte proprie nel testo della propria decisione.

E dunque:

– il CBD non rientra tra i prodotti agricoli in quanto ottenuto dalla canapa per effetto di un complesso procedimento di estrazione e, di conseguenza, tale sostanza non rientra nell’ambito di applicazione dei regolamenti (UE) n. 1307/2013 e n. 1308/2013;

– il CBD non è considerato uno stupefacente dalle convenzioni internazionali di cui gli Stati membri dell’UE sono parti, vale a dire dalla Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti di New York del 30 marzo 1961, modificata dal protocollo del 1972 (“Convenzione Unica”), e dalla Convenzione sulle Sostanze Psicotrope.

In base al combinato disposto dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera j), e dell’articolo 28, paragrafo 2, della Convenzione Unica, tale Convenzione non si applica né alle piante di Cannabis «a scopi esclusivamente industriali (fibre e semi) o di orticoltura», e nemmeno alle piante coltivate «per qualsiasi scopo diverso [dalla produzione di cannabis e di resina di cannabis] e non solo a fini [industriali o di orticoltura]», come risulta anche dai commenti alla Convenzione Unica pubblicata dalle Nazioni Unite.

Ossia, in base alla Convenzione Unica – a cui gli Stati Membri dell’UE hanno aderito – la coltivazione della pianta di canapa non sarebbe da considerarsi soggetta a controllo in tutti i casi in cui non sia finalizzata alla produzione di uno stupefacente.

Inoltre, la Convenzione sulle Sostanze Psicotrope mentre da un lato considera il THC una sostanza psicotropa e stupefacente, dall’altro non considera tale il CBD.

La Corte rileverà, poi, che sebbene un’interpretazione letterale della Convenzione da ultimo considerata potrebbe indurre a classificare il CBD come stupefacente, in quanto estratto della Cannabis, tale interpretazione sarebbe contraria allo spirito generale di tale convenzione e al suo obiettivo di tutelare «la salute fisica e psichica dell’umanità».

Riguardo a ciò, in base allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, a differenza del THC, anch’esso un cannabinoide ottenuto dalla canapa, il CBD in questione non risulta avere effetti psicotropi né effetti nocivi per la salute umana.

Continuando la disamina dell’Avvocato Generale, egli ha rilevato che quando la coltivazione non sia finalizzata alla produzione di THC, la Cannabis sativa non dovrebbe essere considerata stupefacente, così come pure i suoi prodotti derivati.

Peraltro, sempre al fine di chiarire che il CBD non è uno stupefacente, di recente l’OMS ha raccomandato alle Nazioni Unite, da un lato, di modificare la tabella I allegata alla Convenzione Unica, sopprimendo, in tale tabella, il riferimento agli «estratti e tinture di cannabis» e, dall’altro, inserendo una nota a piè di pagina indicante che «i preparati contenenti principalmente [CBD] e il cui tenore di [THC] non supera lo 0,20% non sono soggetti a controllo internazionale».

 

Ed ora la decisione della Corte

Anzitutto, la Corte interviene sul diritto applicabile alla situazione posta sotto il suo esame.

Viene esclusa l’applicabilità dei regolamenti relativi alla politica agricola comune (PAC), ossia i sopra citati regolamento (UE) n. 1307/2013 e regolamento (UE) n. 1308/2013 .

Infatti – chiarisce la Corte – tali norme di diritto derivato si applicano soltanto ai «prodotti agricoli» di cui all’allegato I dei Trattati.

Pertanto, il CBD, che è estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza, non può essere considerato come un prodotto agricolo, a differenza, per esempio, della canapa greggia. Esso non rientra, quindi, nell’ambito di applicazione dei predetti regolamenti.

Per contro, la Corte osserva che le disposizioni relative alla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione (articoli 34 e 36 TFUE) sono applicabili, poiché il CBD di cui al procedimento principale non può essere considerato come uno «stupefacente».

A tale conclusione la Corte è giunta ricordando, anzitutto, che i soggetti che commercializzano stupefacenti non possono avvalersi dell’applicazione del principio di libera circolazione, poiché tale commercializzazione è vietata in tutti gli Stati membri, ad eccezione di un commercio posto sotto rigoroso controllo ai fini dell’uso per scopi medici e scientifici.

Per quanto sopra, la Corte ha dichiarato che le disposizioni relative alla libera circolazione delle merci ostano a una normativa come quella nazionale francese, relativa al procedimento principale.

Ma la conclusione, come ovvio, è valevole per ogni disposizione normativa nazionale similare, adottata da altri Stati membri, Italia inclusa.

Infatti, il divieto di commercializzazione del CBD costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative delle importazioni, vietata dall’articolo 34 TFUE.

Una siffatta normativa restrittiva può essere giustificata da uno dei motivi di interesse generale indicati nell’articolo 36 TFUE, quale l’obiettivo di tutela della salute pubblica, che in effetti era stato invocato dalla Francia, a condizione, però, che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo suddetto (tutela della salute pubblica) e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento (principio di proporzionalità).

Ancorché quest’ultima valutazione spetti al giudice nazionale, la Corte ha fornito due indicazioni a tale proposito:

  1. da un lato, essa ha rilevato che il divieto di commercializzazione non riguardi il CBD di sintesi, il quale avrebbe le stesse proprietà del CBD “naturale” e potrebbe essere quindi utilizzato come sostituto di quest’ultimo. Qualora tale circostanza fosse dimostrata, sarebbe tale da indicare che la normativa nazionale – in tal caso francese – non sia idonea a conseguire, in modo coerente e sistematico, l’obiettivo di tutela della salute pubblica;
  2. dall’altro, la Corte ha riconosciuto che, effettivamente, la Francia non è tenuta a dimostrare che la pericolosità del CBD sia identica a quella di taluni stupefacenti. Tuttavia, il giudice nazionale deve valutare i dati scientifici disponibili al fine di assicurarsi che l’asserito rischio reale per la salute non risulti fondato su considerazioni puramente ipotetiche. Infatti, un divieto di commercializzazione del CBD, che costituisce l’ostacolo più restrittivo agli scambi aventi ad oggetto prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, può essere adottato soltanto qualora tale rischio risulti sufficientemente dimostrato.

Poi, sotto il profilo dei rapporti con le esigenze di tutela della salute pubblica, più volte sollevate dagli Stati membri per limitare il settore della canapa e dei cannabinoidi, la Corte ha rilevato come le valutazioni inerenti la tutela della salute siano già state considerate nell’ambito del regolamento (UE) n. 1308/2013, quando la canapa è stata inclusa tra i prodotti agricoli rilevanti ai fini dell’organizzazione del mercato comune; non a caso il CBD risulta già ammesso in UE quale ingrediente cosmetico, è autorizzato in un farmaco ed oggetto di varie applicazioni quale novel food presso le competenti Autorità europee.

In un tale contesto, non appare plausibile invocare il principio di precauzione che, in primo luogo, deve individuare specifiche conseguenze potenzialmente negative per la salute e, in secondo luogo, deve presupporre una valutazione complessiva del rischio basata su dati scientifici più affidabili e sui risultati più recente della ricerca scientifica internazionale.

 

Le conclusioni

La Corte di Giustizia ha così statuito:

«gli articoli 34 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento. Il regolamento (UE) n. 1307/2013, recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, e il regolamento (UE) n. 1308/2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, devono essere interpretati nel senso che non si applicano a una siffatta normativa».

L’impatto di tale sentenza non può che considerarsi notevole, in particolare nel mercato europeo della canapa industriale e dei cannabinoidi, ma anche in quello nazionale italiano dove, come ricordato in apertura di questo breve approfondimento, vi è stato un tentativo di imposizione di misure altamente restrittive, ad oggi ancora in sospeso, ma con un esito che, nel rispetto del diritto UE, dovrebbe conformarsi all’attuale recente statuizione interpretativa offerta dalla Corte.

Allo stato attuale, comunque, il mercato della canapa e del CBD è aperto.

 

Riferimenti per l’elaborazione della presente analisi:

  • G. BULLERI, La sentenza della Corte di Giustizia dell’UE: Canapa Industriale, CBD e libera circolazione delle merci, in www.federcanapa.it
  • Corte di giustizia dell’Unione europea, comunicato stampa n. 141/20 del 19 novembre 2020, in curia.europa.eu
  • G. MASSARO, Cannabidiolo, medicinale stupefacente: dietrofront del Ministero della Salute?, in www.altalex.com

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