avv. Valeria Pullini
Premessa
Il presente scritto è un breve estratto da un saggio da me elaborato in ricordo e onore del Direttore del commentario tecnico-giuridico «Alimenta», Dr. Antonio Neri, maestro ed amico che purtroppo non c’è più.
Si tratta di un saggio che entrerà a far parte di una raccolta di scritti, di prossima pubblicazione, di professionisti del settore dell’alimentazione e del diritto alimentare, quale tributo al Dr. Neri.
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L’intervento odierno considererà la spinosa questione relativa all’uso volontario dei pending claims di tipo salutistico per una particolare tipologia di integratori alimentari: i botanicals.
Al fine di rendere un’esposizione il più possibile completa, ritengo necessario procedere ad un breve excursus della disciplina normativa intervenuta nel tempo a regolare la più ampia materia dei claims e degli integratori alimentari, per arrivare successivamente a considerazioni nel dettaglio sulla più recente giurisprudenza europea in ordine al medesimo tema, ponendo particolare attenzione al concetto di «fondatezza scientifica» in tutti i casi in cui sia impiegato un claim sulla salute in regime transitorio, ossia non ancora autorizzato a livello europeo.
- Il regolamento n. 1924/2006/CE relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari
La ratio del presente regolamento, anche conosciuto come regolamento claims, viene esplicata in alcuni «considerando» dello stesso.
In particolare, dal «considerando 9» si evince la primaria esigenza di garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, per fornire ad essi le informazioni necessarie affinché compiano scelte nella piena consapevolezza dei fatti e per creare condizioni paritarie di concorrenza per l’industria alimentare.
Il «considerando 36» ribadisce il concetto e lo allarga, ponendo l’attenzione sull’obiettivo del regolamento stesso, vale a dire l’efficace funzionamento del mercato interno per quanto riguarda le indicazioni nutrizionali e sulla salute e al tempo stesso un elevato livello di tutela dei consumatori.
La tutela dei consumatori non si esplica in un’esigenza di carattere solo economico.
Le indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sugli alimenti sono in grado di indirizzare il consumatore anche ed in particolar modo nelle scelte volte alla tutela della propria salute: «Gli alimenti promossi mediante indicazioni possono essere percepiti dal consumatore come portatori di un vantaggio nutrizionale, fisiologico o per la salute in generale rispetto ad altri prodotti simili o diversi ai quali tali sostanze nutritive e altre sostanze non sono aggiunte» («considerando 10»).
Inoltre, nel corpo della norma, in particolare, all’articolo 1, paragrafo 1 è stabilito ed ulteriormente chiarito che il regolamento armonizza le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri concernenti le indicazioni nutrizionali e sulla salute, al fine suindicato, ossia garantire l’efficace funzionamento del mercato interno e al tempo stesso un elevato livello di tutela dei consumatori.
Allo scopo di conseguire un tale obiettivo, occorre considerare i tre aspetti fondamentali di cui tutti i claims disciplinati dal regolamento in parola devono essere caratterizzati.
Ci si riferisce, in particolare, ai seguenti requisiti:
- fondatezza scientifica;
- veridicità;
- comprensibilità.
1.1. La fondatezza scientifica
Anche in tal caso, la rilevanza del concetto di fondatezza scientifica, il quale deve essere oggetto di apposita dimostrazione, già emerge dai «considerando» del regolamento claims, in particolare in seguenti:
«È necessario garantire che le sostanze per le quali è fornita un’indicazione abbiano dimostrato di avere un effetto nutrizionale o fisiologico benefico» («considerando 14»).
«La fondatezza scientifica dovrebbe essere l’aspetto principale di cui tenere conto nell’utilizzo di indicazioni nutrizionali e sulla salute, e gli operatori del settore alimentare che fanno uso di indicazioni dovrebbero giustificarle. Un’indicazione dovrebbe essere scientificamente corroborata, tenendo conto del complesso dei dati scientifici disponibili e valutando gli elementi di prova» («considerando 17»).
«Le indicazioni sulla salute dovrebbero essere autorizzate nella Comunità soltanto dopo una valutazione scientifica del più alto livello possibile. Per garantire una valutazione scientifica armonizzata delle indicazioni, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) dovrebbe effettuare tali valutazioni» («considerando 23»).
Numerose norme del regolamento disciplinano tale fondamentale requisito di cui le indicazioni sulla salute devono essere dotate, comprese necessariamente quelle non ancora espressamente autorizzate in sede europea.
Per esigenze di organicità della presente trattazione, la disamina di tali norme sarà effettuata in seguito.
1.2. La veridicità
Affinché un claim sulla salute possa considerarsi veritiero, è necessario che la sostanza oggetto dell’indicazione sia presente nel prodotto finale in quantità sufficienti (o, a seconda dei casi, assente o presente in quantità ridotte), al fine di produrre l’effetto nutrizionale o fisiologico vantato.
Tale sostanza deve anche essere utilizzabile dall’organismo, nonché fornita da una quantità dell’alimento tale da poter essere ragionevolmente consumata (cfr. «considerando 15»).
1.3. La comprensibilità (non ingannevolezza)
È importante che le indicazioni relative agli alimenti siano comprese dal consumatore (medio), il quale va tutelato dalle indicazioni fuorvianti (cfr. «considerando 16»).
Viene confermato, quindi, il principio del divieto di induzione in errore del consumatore attraverso le informazioni che gli si offrono, caposaldo dell’intera legislazione alimentare, sigillato anche nella disciplina normativa trasversale in materia di informazioni sugli alimenti al consumatore, in particolare all’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011/UE, dedicato alle pratiche leali d’informazione.
Si vedrà in seguito come il concetto di non ingannevolezza sia strettamente connesso alla necessità che i claims sulla salute siano scientificamente fondati, considerato che un’indicazione sulla salute, offerta al consumatore, non corroborata da «prove scientifiche generalmente accettate» non può che essere idonea ad indurre in errore il consumatore stesso sulle caratteristiche evidenziate dell’alimento e/o di uno o più dei suoi componenti.
1.4. Oggetto e ambito di applicazione del regolamento claims
Il regolamento claims si applica alle indicazioni nutrizionali e sulla salute che figurano in:
- comunicazioni commerciali (tutte le forme di comunicazione finalizzate a promuovere – direttamente o indirettamente – un prodotto, un servizio o l’immagine di un’azienda);
- etichettatura (definita all’articolo 2, paragrafo 2, lettera j) del regolamento n. 1169/2011/UE);
- presentazione;
- pubblicità
dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, compresi i prodotti alimentari destinati alle collettività (e.g. ristoranti, ospedali, scuole, mense e servizi analoghi di ristorazione).
Tale regolamento si applica fatte salve le seguenti disposizioni normative:
a) direttiva n. 89/398/CEE e direttive adottate in materia di prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare (poi direttiva n. 39/2009/CE, successivamente sostituita dal regolamento n. 609/2013/UE);
b) direttiva n. 80/777/CEE in materia di ravvicinamento della legislazione degli Stati membri sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali;
c) direttiva n. 98/83/CE concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano;
d) direttiva n. 2002/46/CE in materia di integratori alimentari.
Ecco, quindi, il punto di aggancio tra la disciplina normativa in materia di claims sugli alimenti e quella relativa agli integratori alimentari.
- Gli Integratori alimentari: la direttiva n. 2002/46/CE e la normativa nazionale
La direttiva n. 2002/46/CE definisce gli «integratori alimentari» come i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti, in forme di dosaggio, vale a dire in forme di commercializzazione quali capsule, pastiglie, compresse, pillole e simili, polveri in bustina, liquidi contenuti in fiale, flaconi a contagocce e altre forme simili, di liquidi e polveri destinati ad essere assunti in piccoli quantitativi unitari.
Per «sostanze nutritive» o «nutrienti» si intende le seguenti sostanze:
i) le vitamine;
ii) i minerali.
Al «considerando 6» di tale direttiva viene chiarita l’esistenza di un’ampia gamma di sostanze nutritive e di altri elementi che possono far parte della composizione degli integratori alimentari, ed in particolare, ma non in via esclusiva, vitamine, minerali, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale (ecco i botanicals).
Analoga definizione viene offerta, in sede nazionale italiana, dal decreto legislativo n. 169/2004, di recepimento della predetta direttiva.
Per le definizioni di «sostanze vegetali» ed «estratti vegetali» dobbiamo invece fare riferimento ad una diversa direttiva, di poco successiva, nella specie la direttiva n. 2004/24/CE, che definisce:
- «sostanze vegetali»: tutte le piante, le parti di piante, le alghe, i funghi e i licheni, interi, a pezzi o tagliati, in forma non trattata, di solito essiccata, ma talvolta anche allo stato fresco. Sono altresì considerati sostanze vegetali taluni essudati non sottoposti ad un trattamento specifico. Le sostanze vegetali sono definite in modo preciso in base alla parte di pianta utilizzata e alla denominazione botanica secondo la denominazione binomiale (genere, specie, varietà e autore), e
- «preparati vegetali»: i preparati ottenuti sottoponendo le sostanze vegetali a trattamenti quali estrazione, distillazione, spremitura, frazionamento, purificazione, concentrazione o fermentazione. In tale definizione rientrano anche sostanze vegetali triturate o polverizzate, tinture, estratti, oli essenziali, succhi ottenuti per spremitura ed essudati lavorati.
Tali definizioni sono richiamate dal Ministero della salute nelle «Linee guida sulla documentazione a supporto dell’impiego di sostanze e preparati vegetali (botanicals) negli integratori alimentari di cui al dm 9 luglio 2012», pubblicate al fine di indicare ai professionisti del settore il corretto impiego delle sostanze vegetali negli integratori alimentari.
In sede nazionale, l’impiego di estratti e preparati vegetali negli integratori alimentari è attualmente disciplinato dal dm 10 agosto 2018.
Come esplicato nel sito del Ministero della salute, l’allegato 1 del decreto da ultimo citato reca l’elenco delle piante ammesse e relative parti, corredate ove del caso da disposizioni supplementari per l’impiego, e contiene altresì le piante della cosiddetta «lista Belfrit», messa a punto dalle autorità competenti di Belgio, Francia e Italia, che non erano comprese nell’allegato 1 del precedente dm 9 luglio 2012.
- Gli elenchi delle indicazioni sulla salute consentite (diverse da quelle che si riferiscono alla riduzione del rischio di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini)
L’articolo 13 del regolamento n. 1924/2006/CE, relativo alle indicazioni sulla salute diverse da quelle che si riferiscono alla riduzione del rischio di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini, al paragrafo 1 stabilisce che le indicazioni sulla salute che descrivono o fanno riferimento ai seguenti elementi:
a) il ruolo di una sostanza nutritiva o di altro tipo per la crescita, lo sviluppo e le funzioni dell’organismo, o
b) funzioni psicologiche e comportamentali, o
c) fatta salva la direttiva n. 96/8/CE, il dimagrimento o il controllo del peso oppure la riduzione dello stimolo della fame o un maggiore senso di sazietà o la riduzione dell’energia apportata dal regime alimentare,
che sono indicate nell’elenco di cui al successivo paragrafo 3, possono essere fornite senza essere oggetto della procedura di autorizzazione di cui agli articoli da 15 a 19, purché siano:
i) basate su prove scientifiche generalmente accettate e
ii) ben comprese dal consumatore medio.
Al successivo paragrafo 3, la norma prevede che, previa consultazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), la Commissione adotta, secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 25, paragrafo 3, del regolamento medesimo, un elenco comunitario delle indicazioni consentite di cui al precedente paragrafo 1 e tutte le condizioni necessarie per il loro impiego.
3.1. L’elenco europeo delle indicazioni sulla salute consentite: il regolamento n. 432/2012/UE
Tale elenco è stato elaborato e pubblicato nell’anno 2012 dalla Commissione europea, previa consultazione dell’EFSA, la quale ultima, alla luce delle proprie competenze scientifiche e sulla base dei dati disponibili, ha ritenuto l’utilizzabilità di quelle sole indicazioni salutistiche che, all’atto della presentazione, erano basate su prove scientifiche generalmente accettate.
Trattasi del regolamento n. 432/2012/UE, successivamente rettificato ed ancora oggi oggetto di implementazioni attraverso l’inserimento di nuovi claims che, di volta in volta, riescono a superare il vaglio tecnico-scientifico dell’EFSA e l’esame della Commissione europea nell’ambito della procedura di autorizzazione sopra menzionata..
Tale regolamento oggi elenca centinaia di indicazioni salutistiche riferentisi ad un numero significativo di sostanze impiegabili negli alimenti; indicazioni che possono essere utilizzate con riferimento a tali sostanze e nel rispetto delle condizioni d’uso ivi indicate.
In questa disamina possiamo, quindi, distinguere 2 gruppi di health claims ai sensi dell’articolo 13 del regolamento in parola:
- i) quelli che si basano su dati scientifici consolidati e sono ben compresi dal consumatore medio;
- ii) quelli «nuovi», che si fondano su nuovi dati scientifici, per i quali occorre presentare apposita domanda di autorizzazione.
Del primo gruppo fanno parte le indicazioni sulla salute di cui all’elenco ex articolo 13, paragrafo 3, ossia le indicazioni già ammesse dalla Commissione europea sulla base di prove scientifiche ormai consolidate e sulla chiarezza delle relative rivendicazioni per i consumatori.
De secondo gruppo fanno parte le indicazioni nuove, che necessitano di apposita autorizzazione secondo una procedura complessa (articoli 15-19 del regolamento n. 1924/2006/CE).
L’elenco di cui all’articolo 13, paragrafo 3, tuttavia, non comprende i claims sulla salute che si riferiscono a sostanze vegetali impiegabili negli integratori alimentari.
3.2. Altri elenchi delle indicazioni sulla salute: l’EU register, il registro dei pending claims e l’elenco nazionale provvisorio
In sede europea, ci si riferisce, in primis, all’«EU Register on nutrition and health claims», previsto dall’articolo 20 del regolamento n. 1924/2006/CE.
Contiene, oltre alle indicazioni sulla salute autorizzate e le relative condizioni di utilizzo (le quali corrispondono a quelle inserite nell’elenco di cui al regolamento n. 432/2012/UE), anche l’elenco delle indicazioni sulla salute che, ad esito della procedura di autorizzazione, sono state respinte, corredate del motivo del relativo rigetto, in particolare riconducibile alla mancanza di fondatezza scientifica e, quindi, all’assenza del nesso eziologico tra l’assunzione della/e sostanza/e per il quale è stata richiesta l’autorizzazione all’uso di claims e l’effetto benefico che con tale/i claim/s si è inteso vantare.
Molte di tali ultime indicazioni (non-authorised) sono health claims su botanicals.
Esiste, poi, un’ulteriore lista contenente una cospicua quantità di indicazioni salutistiche, attualmente ancora al vaglio dell’EFSA e della Commissione europea, utilizzabili – sotto la responsabilità dell’o.s.a – sino a che non interverrà una decisione sulla loro definitiva possibilità d’uso o meno.
Tra le suddette indicazioni ve ne sono alcune riguardanti sostanze vegetali impiegate e/o impiegabili anche per la produzione di integratori alimentari, attualmente pending, le quali potranno essere utilizzate dagli o.s.a. sino alla pubblicazione della predetta decisione, che, in sede europea (e, così, anche e necessariamente in ambito nazionale), potrà permetterne la continuazione d’uso oppure vietarla.
Trattasi dell’elenco dei cosiddetti pending claims: «Article 13.1. Claims for which the evaluation by the European Food Safety Authority and the consideration by the Commission and the Member States is not finalised», protagonista dell’odierna disamina.
E’ un elenco non consultabile, in quanto non sono riportate in chiaro le indicazioni «pendenti»: è composto, infatti, esclusivamente di una serie di numeri che corrispondono ai cosiddetti «ID numbers», ossia i numeri d’entrata che, in sede europea, sono stati conferiti alle indicazioni salutistiche al momento della loro presentazione.
Infine, in sede nazionale italiana, si trova un elenco nazionale provvisorio dei claims salutistici relativi a sostanze vegetali impiegabili negli integratori.
Non si tratta di un atto normativo nazionale, bensì di linee guida ministeriali valevoli ad orientare o.s.a. e consumatori sino ad una (più utopica che reale) armonizzazione in sede europea delle indicazioni sulla salute per le sostanze vegetali.
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Compiuto questo breve excursus normativo e ricordate le cosiddette liste che, in sede europea e nazionale, elencano le indicazioni sulla salute che, a vario titolo, possono – quanto meno in via teorica – essere utilizzate sugli integratori botanicals, vi è ora da comprendere come un tale «pacchetto» di norme, elenchi ed orientamenti possa essere applicato in conformità al complesso dettato normativo di cui al regolamento claims, avendo particolare riguardo al settore dei pending claims per gli integratori alimentari vegetali e, ancor più in particolare, al concetto di «fondatezza scientifica» quale requisito fondamentale ai fini del relativo impiego.
- Le «prove scientifiche generalmente accettate»
Per «prove scientifiche generalmente accettate» si intende il complesso di dati scientifici «universalmente» disponibili, se del caso, anche corredati di elementi di prova riferibili alla fattispecie concreta (dossier tecnico-scientifici, prove di laboratorio, perizie, ecc.) che costruiscano prova della sussistenza dell’effetto nutrizionale o fisiologico benefico riferito alla/e sostanza/e interessata/e.
Al fine di capire la reale portata di tale requisito generale, particolare rilevanza assume una recentissima statuizione sul punto della Corte di giustizia, a mezzo della quale è stata offerta la corretta interpretazione di alcune norme del regolamento n. 1924/2006/CE ad esso dedicate.
4.1. La sentenza della Corte di giustizia del 10 settembre 2020 in causa n. C‑363/19 (Konsumentombudsmannen c. Mezina AB)
Questa sentenza ha avuto ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione:
– degli articoli 5 e 6, in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 1, e l’articolo 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006/CE, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, e
– dell’articolo 3 della direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno.
4.1.1 Il procedimento principale
Mezina è un’impresa svedese che si occupa dell’elaborazione e della commercializzazione, tra l’altro, di integratori alimentari a base di diversi componenti vegetali.
Nell’ambito della commercializzazione di tali prodotti che, come noto, rientrano nella categoria dei «prodotti alimentari» ai sensi del regolamento n. 1924/2006, Mezina impiega indicazioni sulla salute, in gran parte relative alle singole, specifiche sostanze vegetali che compongono gli integratori ivi considerati.
Tali indicazioni rientrano nel regime transitorio istituito all’articolo 28, paragrafo 5 del regolamento n. 1924/2006/CE, poiché la Commissione non ha ancora preso posizione sulle relative domande di iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 13, paragrafo 3, di tale regolamento.
L’ente o associazione «denunciante» a tutela dei consumatori (Konsumentombudsmannen o, di seguito, anche «KO») sosteneva, tuttavia, che dette indicazioni, alcune delle quali peraltro già oggetto di parere sfavorevole da parte dell’EFSA, non soddisfino i requisiti di cui al predetto articolo 28, paragrafo 5, in quanto contrarie non solo all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), e agli articoli 5 e 6 del medesimo regolamento, ma anche alle disposizioni nazionali della legge svedese.
Il professionista, infatti, a detta del KO, non avrebbe dimostrato che la presenza di sostanze nutritive nei prodotti di cui trattasi abbia un effetto fisiologico benefico, sulla base di prove scientifiche generalmente accettate, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006/CE, né addotto prove scientifiche attestanti il rispetto delle disposizioni di tale regolamento, conformemente al relativo articolo 6, paragrafo 1, né tantomeno dimostrato che le indicazioni sulla salute non siano false, ambigue o fuorvianti, in osservanza dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), del ridetto regolamento.
Sempre nell’ambito del procedimento principale, Mezina ha sostenuto che le indicazioni sulla salute rientranti nelle disposizioni transitorie dell’articolo 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006/CE non possono essere assoggettate – contrariamente a quanto avrebbe preteso il KO – a requisiti probatori superiori a quelli ai quali devono rispondere le indicazioni sulla salute autorizzate dalla Commissione.
In particolare, non sarebbe ragionevole – continua il professionista – esigere che un o.s.a. presenti, per indicazioni sulla salute rientranti in dette disposizioni transitorie, un fascicolo scientifico diverso da quello sulla base del quale è stata originariamente presentata la domanda di iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 13, paragrafo 3, di tale regolamento.
4.1.2. Le questioni pregiudiziali
Il giudice svedese del rinvio, prima di procedere alla sospensione del procedimento principale ai fini della formulazione alla Corte di giustizia delle questioni pregiudiziali, si è soffermato – nell’ambito del più ampio concetto di «prove scientifiche generalmente accettate» o, se si preferisce, di «fondatezza scientifica» dei claims ricadente nel regime transitorio – su alcune valutazioni, in particolare su chi ricada l’onera di tale prova e quale sia la norma che ne disciplina il livello, nonché sulla sussistenza di disposizioni sulla procedura da seguire quando il regolamento n. 1924/2006/CE viene applicato in un procedimento nazionale, in particolare per quanto attiene all’assunzione delle prove e all’efficacia probatoria degli elementi di prova addotti.
Il medesimo giudice si è domandato, inoltre, se le norme nazionali vigenti in materia di pratiche commerciali sleali, adottate nell’ambito della trasposizione della direttiva n. 2005/29/CE, possano trovare comunque applicazione, nonostante il regolamento n. 1924/2006/CE contenga norme che, disciplinando aspetti più specifici delle pratiche sleali, prevalgano e si applichino a tali aspetti specifici.
A tale proposito esso ha affermato che, anche quando si basa su prove scientifiche generalmente accettate, un’indicazione sulla salute può contenere un messaggio ambiguo o contraddittorio non passibile di autorizzazione, cosicché le indicazioni sulla salute che rientrino nel regime transitorio di cui all’articolo 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006/CE non potrebbero essere presunte conformi alle disposizioni di tale regolamento e a quelle della direttiva n. 2005/29/CE.
Procedeva, così, alla sospensione del procedimento principale e alla sottoposizione alla Corte delle seguenti cinque questioni pregiudiziali:
«1) Se gli articoli 5 e 6, in combinato disposto con gli articoli 10, paragrafo 1, e 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006, disciplinino l’onere della prova nel procedimento in cui il giudice nazionale valuta se siano state fornite indicazioni sulla salute non consentite, in una situazione in cui le indicazioni sulla salute in questione corrispondono a un’indicazione oggetto di domanda ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 1924/2006, ma la domanda non ha ancora comportato una decisione di autorizzazione o di non autorizzazione, ovvero se l’onere della prova sia determinato in conformità del diritto nazionale.
2) Nel caso in cui la risposta alla prima questione sia che l’onere della prova è disciplinato dalle disposizioni del regolamento n. 1924/2006, se esso incomba all’operatore commerciale che ha formulato una determinata indicazione sulla salute oppure all’autorità che chiede al giudice nazionale di vietare all’operatore di continuare a fornire tale indicazione.
3) In una situazione come quella descritta nella prima questione, se gli articoli 5 e 6, in combinato disposto con gli articoli 10, paragrafo 1, e 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006, disciplinino il livello di prova nel procedimento in cui un giudice nazionale valuta se siano state fornite indicazioni sulla salute non consentite, ovvero se tale livello sia determinato in conformità del diritto nazionale.
4) Nel caso in cui la risposta alla terza questione sia che il livello di prova è disciplinato dalle disposizioni del regolamento n. 1924/2006, quali siano i requisiti probatori.
5) Se ai fini della risposta alle prime quattro questioni rilevi il fatto che nel procedimento dinanzi al giudice nazionale possono essere applicati simultaneamente il regolamento n. 1924/2006, compreso l’articolo 3, lettera a), e la direttiva 2005/29».
4.1.3. La statuizione della Corte di Giustizia – Sulle questioni pregiudiziali dalla prima alla quarta – Il significato di «prove scientifiche generalmente accettate» – L’onere della prova
La Corte di giustizia ha ritenuto di esaminare congiuntamente le questioni dalla prima alla quarta, così sintetizzando le richieste del giudice del rinvio:
– se l’articolo 5, paragrafo 1, l’articolo 6, paragrafi 1 e 2, l’articolo 10, paragrafo 1, e l’articolo 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006/CE debbano essere interpretati nel senso che, nell’ambito del regime transitorio istituito da quest’ultima disposizione, l’onere della prova e il livello di prova richiesto relativamente alle indicazioni sulla salute di cui all’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento siano disciplinati da tale regolamento e, in caso affermativo, quali siano i requisiti che ne discendono.
Nel dare risposta a tali questioni, la Corte ha proceduto ad una panoramica del contesto normativo nelle quali esse si inseriscono.
In particolare, quanto all’articolo 28, paragrafo 5 del regolamento claims, è stabilito che, fino all’adozione dell’elenco di cui al relativo articolo 13, paragrafo 3 (ossia, l’elenco delle indicazioni sulla salute ammesse ni quanto già autorizzate, attualmente contenuto nel regolamento n. 432/2012/UE), le indicazioni sulla salute che descrivono o fanno riferimento al ruolo di una sostanza nutritiva o di altro tipo per la crescita, lo sviluppo e le funzioni dell’organismo [di cui allo stesso articolo 13, paragrafo 1, lettera a)], possano essere usate «sotto la responsabilità degli operatori economici del settore alimentare, purché siano conformi al presente regolamento e alle vigenti disposizioni nazionali applicabili».
Ebbene, in forza dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006/CE, l’impiego di un’indicazione sulla salute è permesso, in particolare, solo se sia stato dimostrato che la presenza di una sostanza nutritiva o di altro tipo rispetto alla quale è fornita l’indicazione ha un effetto nutrizionale o fisiologico benefico, «sulla base di prove scientifiche generalmente accettate».
Analogamente, l’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento medesimo precisa che le indicazioni sulla salute devono essere «basate su prove scientifiche generalmente accettate».
Pertanto, avendo disposto, sia all’articolo 5, paragrafo 1, sia all’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006/CE, che le indicazioni sulla salute siano basate su «prove scientifiche generalmente accettate», è stata confermata la determinazione del livello di prova richiesto ad opera del legislatore dell’Unione.
La Corte ha osservato, inoltre, che il ricorso all’espressione «prove scientifiche generalmente accettate» implica che tali prove non possano limitarsi a credenze, dicerie tratte dalla saggezza popolare o, ancora, ad osservazioni ed esperienze di persone estranee alla comunità scientifica.
Al contrario, l’impiego di una tale espressione implica che le indicazioni sulla salute debbano essere fondate su elementi oggettivi e di carattere scientifico e che, in particolare, i benefici delle sostanze a cui tali health claims si riferiscono godano, come indicato al «considerando 14» del regolamento n. 1924/2006/CE, di un supporto scientifico sufficiente.
Come richiesto dal «considerando 17» di detto regolamento, tali claims devono essere «scientificamente corroborati, tenendo conto del complesso dei dati scientifici disponibili e valutando gli elementi di prova».
Quanto all’onere della prova, va considerato, da un lato, che l’articolo 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006/CE prevede che, fino all’adozione dell’elenco di cui all’articolo 13, paragrafo 3, di tale regolamento, le indicazioni sulla salute possano essere fornite «sotto la responsabilità degli operatori economici del settore alimentare»; dall’altro lato, che ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, di detto regolamento, l’«operatore del settore alimentare che formula un’indicazione nutrizionale o sulla salute giustifica l’impiego di tale indicazione».
La Corte chiarisce che gli elementi di prova addotti possono essere quelli contenuti nel fascicolo predisposto a sostegno della originaria domanda di iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 1924/2006/CE oppure provenire da altre fonti, a condizione di avere un valore scientifico sufficiente.
Di conseguenza, nell’ambito del regime transitorio istituito all’articolo 28, paragrafo 5, del regolamento n. 1924/2006/CE, un o.s.a. che decida di fornire un’indicazione sulla salute deve, sotto la propria responsabilità, conoscere gli effetti sulla salute della sostanza oggetto di tale indicazione, ciò significando che egli debba essere in grado di provare la sussistenza di tali effetti e che l’onere della prova sia a suo carico.
Tuttavia, se il regolamento n. 1924/2006/CE disciplina sia l’onere della prova sia il livello di prova richiesto in ordine alla fondatezza scientifica dei claims, esso non disciplina però i tipi di prova e nemmeno le loro modalità di assunzione.
La Corte di giustizia, quindi, è pervenuta alla conclusione che tali questioni restino assoggettate al diritto nazionale, fatta comunque salva l’applicazione dei principi di equivalenza e di effettività.
4.1.4. La quinta questione pregiudiziale: il rapporto tra il regolamento n. 1924/2006/CE e la direttiva 2005/29/CE in tema di pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori
Con la sua quinta questione il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, quali siano le disposizioni da applicare in caso di conflitto tra le norme contenute nel regolamento n. 1924/2006/CE e quelle contenute nella direttiva n. 2005/29/CE in tema di pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori.
Inserendosi nella più ampia problematica di «decriptazione» del concetto di fondatezza scientifica delle indicazioni sulla salute, oggetto del procedimento principale, è possibile arguire come tale quinta questione sia dotata di rilevanti implicazioni proprio in tale ambito, dato che la mancanza di fondatezza scientifica ovvero una non idonea formulazione del claim vantato, sia idonea – salvo che il fatto costituisca reato – a violare il divieto di induzione in errore del consumatore sulle caratteristiche del prodotto e/o dei suoi componenti.
Ciò riveste non poca importanza in termini di conseguenze che ne possono derivare in ambito amministrativo nazionale, in particolare in ordine all’individuazione dell’autorità competente all’irrogazione delle sanzioni, di cui si dirà di seguito.
Sulla presente questione, facendo riferimento ad una giurisprudenza costante della Corte di giustizia, quest’ultima ha rilevato come la direttiva n. 2005/29/CE sia caratterizzata da un ambito di applicazione particolarmente ampio, che si estende a qualsiasi pratica commerciale presenti un collegamento diretto con la promozione, la vendita o la fornitura di un prodotto ai consumatori.
Essa rileva, ad ogni modo, che ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della predetta direttiva: «[i]n caso di contrasto tra le disposizioni [di detta direttiva] e altre norme [dell’Unione] che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici».
Da ciò discende che la direttiva n. 2005/29/CE si applica solo in assenza di specifiche disposizioni dell’UE che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione o le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore.
Poiché il regolamento n. 1924/2006/CE contiene norme specifiche relative alle indicazioni sulla salute che compaiono nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti alimentari immessi sul mercato comune, tale regolamento costituisce una lex specialis rispetto a norme generali poste a tutela dei consumatori contro le pratiche sleali delle imprese, come quelle previste dalla direttiva n. 2005/29/CE.
Ne consegue che, in caso di contrasto tra le disposizioni della direttiva da ultimo citata e quelle del regolamento n. 1924/2006/CE, le disposizioni del regolamento prevalgono sulle prime ed andranno applicate a tali aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali.