Proroga dell’efficacia dei decreti interministeriali “origine latte, grano, riso e pomodoro”. O no?  

avv. Valeria Pullini

 

La notizia è arrivata a destinazione ed è una di quelle notizie che, francamente, non pensavamo di doverci attendere.

Ed invece, con suon di trombe, Mipaaft e MiSE hanno annunciato l’intenzione di estendere l’efficacia del decreto che stabilisce l’obbligo di indicare l’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero-caseari, dal 31.3.2020 al 31.12.2021.

Lo stesso valga per i successivi decreti interministeriali del 2017 relativi all’indicazione di origine del grano per la pasta di grano duro, del riso e del pomodoro per sughi e salse.

Ma facciamo un passo indietro.

I Decreti Interministeriali italiani “origine”

Come noto, nel periodo 2016-2017 i nostri ministeri si sono impegnati non poco per partorire figli claudicanti, ma con pretesa di diventare campioni nazionali di corsa.

Parlo del DIM 9.12.2016 sull’indicazione di origine della materia prima di latte e prodotti lattiero-caseari; del DIM 26.7.2017 sull’indicazione di origine del grano duro per paste di semola di grano; del DIM 26.7.2017 sull’indicazione di origine del riso e del DIM 16.11.2017 sull’indicazione di origine del pomodoro per salse, sughi et similia.

Ebbene, si tratta di decreti, quasi tutti, da considerarsi illegittimi per contrasto con il diritto UE.

Questo perché, disciplinando una materia armonizzata in sede europea, per poter spiegare validamente i propri effetti all’interno del territorio nazionale, tali progetti di norma tecnica avrebbero dovuto superare la procedura di notifica alla Commissione europea, ai sensi dell’art. 38, paragrafo 1 del regolamento (UE) n. 1169/2011, il quale così dispone: “Quanto alle materie espressamente armonizzate dal presente  regolamento, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza”.

Ciò è avvenuto per il DIM “origine latte” del 2016 (che ha passato il vaglio della Commissione solo per par condicio con la Francia, la quale aveva presentato poco tempo prima un analogo decreto nazionale sulla stessa materia, raccogliendo esito favorevole).

Ma non è accaduto per gli altri tre DIM del 2017, i cui progetti erano stati originariamente notificati, con successivo ritiro della notifica, non più riproposta, andando così in pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana senza “fondamenta”. E con pretesa di validità e cogenza per gli OSA nazionali.

Possiamo dire, tuttavia, che tali decreti sono stati tollerati dalla Commissione in quanto trattavasi di decreti, tutti, sperimentali o ad “obsolescenza programmata”.

In ciascuno di tali decreti era, infatti, presente una clausola di perdita d’efficacia automatica a fronte dell’adozione, da parte della Commissione europea, di atti esecutivi ai sensi dell’art. 26, paragrafo 8, del regolamento (UE) n. 1169/2011.

Perdita di efficacia che, per tabulas, era prevista a decorrere “dal giorno della data di entrata in vigore” di tali atti esecutivi.

Ben sappiamo che il regolamento di esecuzione (UE) n. 775/2018, di applicazione dell’art. 26, paragrafo 3 del regolamento (UE) n. 1169/2011 sull’obbligo di indicazione di origine dell’ingrediente primario, è entrato in vigore il terzo giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’UE, avvenuta il 29.5.2018. Mentre la relativa applicazione è stata prevista a decorrere dal 1° aprile 2020, ossia qualche giorno fa.

Arrivati in prossimità del 1° giugno 2018, attraverso un escamotage altrettanto in fumus (per usare un eufemismo) di illegittimità, veniva emanato un nuovo decreto ministeriale con cui si prorogava l’efficacia dei predetti decreti sino alla data di applicazione (e non più di entrata in vigore) degli atti esecutivi della Commissione; quindi, nel caso specifico, fino al 31.3.2020, iniziando a decorrere dal 1° aprile l’applicazione del regolamento esecutivo n. 775/2018.

Pratica, questa, oggetto di aspre critiche da parte, soprattutto, degli operatori del diritto.

Ma tant’è, gli OSA si sono adeguati e la vita è andata avanti.

 Il colpo di scena last minute

Sennonché, in previsione della perdita di efficacia di tali decreti e dell’entrata in applicazione del predetto regolamento, per più di un anno tutti gli OSA – compresi, ovviamente, quelli dei settori qui considerati – si sono adoperati (seguendo seminari, convegni, partecipando a workshop) per prepararsi alla variazione delle etichette dei propri prodotti in modo da renderle conformi al dettato del nuovo regolamento.

Ciò ha comportato dispendio ed investimenti sia in termini di tempo che di denaro, anche in quanto le linee guida della Commissione, volte (quanto meno negli intenti) a chiarire molti punti dubbi del testo normativo, sono state pubblicate proprio in extremis, dopo mesi e mesi di confronti e scontri tra i rappresentanti dei vari Stati UE a Bruxelles.

Sembrava tutto ormai compiuto per partire con le nuove etichette in conformità del regolamento (UE) n. 775/2018 – certo non senza fatica, considerate le tante problematiche interpretative ed applicative scaturenti dal testo del regolamento stesso, non del tutto dipanate nemmeno con le linee guida della Commissione – quando, a ridosso della data “x”, circa un mese fa, i nostri Ministeri delle politiche agricole e dello sviluppo economico hanno notificato (ma, lo hanno davvero fatto?) alla Commissione la richiesta di proroga, fino al 31.12.2021, del decreto su origine latte e formaggi, pronti a notificare anche quella per gli altri decreti su origine grano, riso e pomodoro.

Al di là del fatto che avanzare, tramite notifica, richiesta di proroga dell’efficacia di decreti originariamente (quasi tutti) non notificati appare circostanza quanto meno curiosa, vi è anche da considerare che la procedura per la notifica è di tre mesi, decorsi i quali, senza opposizione della Commissione, la proroga si intende accettata (e sempre che non si verifichi l’ulteriore colpo di scena della pubblicazione di decreti di proroga direttamente in Gazzetta Ufficiale, senza previa notifica).

Considerato che, come sopra ricordato, le iniziative ministeriali sono recentissime, vi è da chiedersi come si dovrebbero comportare gli OSA (che, si ricorda, nel frattempo hanno investito e si sono adoperati per modificare le etichette dei propri prodotti) nelle more di tale procedura, sino ad esito favorevole (autorizzazione della proroga) o contrario (diniego di autorizzazione) della stessa.

Il tutto, corredato dal non secondario fatto che, ai sensi dell’art. 4 del regolamento (UE) n. 755/2018, solo gli alimenti immessi sul mercato o già etichettati prima del 1° aprile 2020, non conformi al regolamento stesso, possono essere commercializzati sino ad esaurimento delle scorte, con esclusione, quindi, di tutto il materiale d’imballaggio, sempre non conforme al regolamento ma conforme alle norme precedentemente vigenti, a tale data non ancora utilizzato che, verosimilmente, è stato mandato allo smaltimento.

Lasciando per un attimo da parte le anomalie evidenziate nell’adozione di tali decreti e le conseguenti questioni giuridiche scaturenti dalla richiesta di proroga della relativa efficacia, era sufficiente che le nostre istituzioni “si muovessero” con ben maggiore anticipo, avendo tutto il tempo per poterlo fare (due anni), così evitando di ridursi all’ultimo minuto e creare, così, forte nocumento e grande incertezza nell’operatività degli OSA.

Ora, sotto il profilo giuridico, la questione è relativamente semplice: dal 1° aprile è applicabile a tutti i comparti alimentari, salve le eccezioni ivi espressamente contemplate, il regolamento di esecuzione (UE) n. 775/2018.

Ciò significa che l’origine dell’ingrediente primario andrà indicata solo se diversa da quella, parimenti indicata, dell’alimento nella sua interezza.

Nei fatti, invece, occorre indossare la (decisamente scomoda) veste dell’azzeccagarbugli manzoniano e, almeno sino ad esito degli odierni eventi, per gli alimenti dei comparti qui in esame, prodotti in Italia e destinati al mercato italiano, continuare ad utilizzare incarti, imballaggi ed etichette in conformità alle regole d’indicazione dell’origine di cui ai predetti decreti interministeriali, verosimilmente non comporterà contestazioni e l’irrogazione di sanzioni.

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