avv. Valeria Pullini
- PREAMBOLO
Sotto il profilo applicativo, come autorevolmente rappresentato (1), va operata una distinzione tra controlli ufficiali espletati in sede amministrativa (parliamo delle generiche attività di sopralluogo effettuate dagli ufficiali accertatori – quali i Carabinieri del N.A.S., gli Ispettori dell’ICQRF, gli Ispettori d’igiene delle ASL – con annesse operazioni ispettive, di prelevamento ed analisi di laboratorio, espletate nell’ambito di ciascuna allocazione della filiera alimentare, ed intraprese al solo fine di verificare la regolarità o meno dell’operato d’impresa) e attività di indagine analitica svolte in sede penale, ove siano già stati compiuti a monte determinati controlli e/o verifiche dai quali siano emersi indizi di reato e, per tale motivo, si rendano necessari ulteriori atti volti ad “assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per ‘applicazione della legge penale” (cfr. art. 220 disp. att. c.p.p.).
Tale distinzione viene sottolineata anche in giurisprudenza (2) in quanto, a seconda del contesto in cui vengono svolti detti controlli e delle ragioni che ne stanno a fondamento, diverse saranno le norme applicabili e così anche le garanzie difensive previste a favore dell’O.S.A.
La suddetta distinzione assume particolare rilevanza (soprattutto sotto il profilo delle conseguenze che ne derivano, di cui infra) se annoveriamo i controlli ufficiali nell’ambito delle cosiddette “analisi uniche irripetibili”; analisi, cioè, che avrebbero ad oggetto prodotti alimentari deteriorabili sotto il profilo microbiologico ovvero analisi condotte o da condurre su una quantità campionabile non disponibile, all’atto del sopralluogo, nella misura necessaria e sufficiente imperativamente stabilita dalla norma.
Il condizionale è d’obbligo in quanto la fattispecie delle predette “analisi uniche irripetibili”, se fattualmente ha una propria collocazione nella realtà fenomenica, sotto il profilo normativo appare essere, invece, inesistente in quanto non contemplata né in alcun modo disciplinata da alcuna norma.
Essa è il frutto di una prassi amministrativa contraria, a parere di chi scrive, al dettato normativo ed erroneamente tesa a ritenere che tali “analisi uniche irripetibili” altro non siano che analisi per le quali non è prevista o non è possibile la revisione ex art. 19, D.P.R. n. 327/1980 ed art. 1, comma 4, L. 283/1962.
- IL CASO DELLE C.D. “ANALISI UNICHE IRRIPETIBILI”
Occorre precisare che non è questa la sede per stabilire concetto e significato di “prodotti alimentari deteriorabili” né distinguere le nozioni di “campioni” e “aliquote” essendo, questa, materia – rilevantissima, anche per le conseguenze a ciò connesse – demandata all’ambito tecnico-scientifico e, per ciò solo, alle valutazioni di chi, nell’ambito di questa tematica, è dotato della necessaria competenza. E quindi la disamina va subito condotta sulle problematiche interpretative ed applicative delle norme, europee e nazionali, che governano il settore. E dunque è d’uopo riprendere il filo della già accennata differenza procedurale (e di sostanza) intercorrente tra accertamenti condotti in sede amministrativa ed attività d’indagine in ambito penale.
Sotto il profilo amministrativo, la specifica materia delle cosiddette analisi non soggette a revisione è anzitutto disciplinata, in sede nazionale, dal comma 1 dell’art. 223 disp. att. c.p.p., dedicato alle analisi di campioni e garanzie per l’interessato, il quale stabilisce che “Qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell’organo procedente è dato, anche oralmente, avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo ove le analisi verranno effettuate”.
Si prevede, poi, la possibilità per l’interessato di presenziare alle analisi personalmente o per il tramite di persona di sua fiducia, eventualmente con il supporto di un consulente tecnico di parte.
Ciò posto, è proprio sulla base del richiamato dato normativo (rectius della erronea interpretazione ed applicazione dello stesso), che si verificano i casi di disparità di trattamento tra gli O.S.A. interessati e, quindi, di violazione o grave compromissione del diritto di difesa.
Per capire meglio quanto qui affermato, occorre leggere e considerare la norma predetta – che è norma dispositiva di attuazione del codice di rito – in combinato disposto con altra normativa speciale, regolante il medesimo settore.
Quest’ultima è costituita – a partire dagli anni ’90 e con riferimento specifico alle analisi ufficiali di prodotti alimentari deteriorabili – dal d.lgs. 123/1993 (3), di attuazione della direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari e dal d.m. 16.12.1993 (4), che individua le sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime dei controlli microbiologici ufficiali.
Come noto, il recepimento in sede interna di una direttiva europea obbliga il legislatore nazionale al conseguimento dello specifico risultato previsto ed imposto dalla direttiva medesima, lasciando allo Stato membro la scelta dei mezzi per ottenerlo (c.d. autonomia procedurale).
Uno degli obiettivi posti dalla predetta direttiva è il seguente: “Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per garantire alle persone soggette al controllo il beneficio di un’eventuale controperizia” (art. 7, parag. 1, comma 2).
Sul punto, la Corte di Giustizia UE (5) ha avuto modo di precisare (con evidenza aggiunta) che “L’art. 7, n. 1, secondo comma, della direttiva 89/397, relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari, deve essere interpretato nel senso che, sul fondamento di questa disposizione, un fabbricante può invocare nei confronti delle autorità competenti di uno Stato membro il diritto ad una controperizia, qualora le dette autorità contestino la conformità dei suoi prodotti alla normativa nazionale sui prodotti alimentari in base all’analisi condotta su campioni dei detti prodotti prelevati nel commercio al dettaglio. Infatti, poiché sarà lui ad essere sanzionato, il fabbricante deve essere considerato come persona soggetta al controllo ai sensi di tale disposizione e vedersi riconoscere i diritti che essa conferisce, atteso che “la controperizia mira a salvaguardare i diritti legittimi degli operatori, in particolare il loro diritto di ricorso contro i provvedimenti adottati per l’esercizio del controllo”.
Tale ratio ha avuto, oltre che una conferma, anche un’evoluzione a mezzo dell’adozione del regolamento (CE) n. 882/2004, ove, all’art. 11, i paragrafi 5 e 6 dispongono quanto segue:
“5. Le autorità competenti fissano procedure adeguate atte a garantire il diritto degli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti i cui prodotti sono oggetto di campionamento e di analisi di chiedere un ulteriore parere di esperti, fatto salvo l’obbligo delle autorità competenti di intervenire rapidamente in caso di emergenza.
6. In particolare, esse vigilano affinché gli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti possano ottenere un numero sufficiente di campioni per un ulteriore parere di esperti, a meno che ciò sia impossibile nel caso di prodotti altamente deperibili o dello scarsissimo quantitativo di substrato disponibile”.
La regola base è che, in sede ufficiale di campionamento ed analisi, a tutti gli O.S.A. deve essere assicurato e garantito il diritto ad un “ulteriore parere di esperti”, il quale altro non è che la previsione del diritto al contraddittorio tecnico, parte del diritto alla difesa cui l’ordinamento UE riconosce valore di diritto fondamentale.
Quando ciò non sia possibile – nei casi in cui oggetto del campionamento e delle analisi siano “prodotti altamente deteriorabili” oppure in caso di “scarsissimo quantitativo di substrato disponibile” – allora si rientrerà nell’alveo della disciplina normativa (sempre di carattere amministrativo), relativa alle analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, nella specie l’art. 223 disp. att. c.p.p., l’art. 4 del d.lgs. 123/1993 e l’art. 2 del d.m. 16.12.1993.
Il che è cosa ben diversa dal ritenere che il paragrafo 6 del regolamento (CE) n. 882/2004 e, così, le norme nazionali poc’anzi citate, introducano o giustifichino l’istituto delle “analisi uniche irripetibili”.
E ciò per diversi ordini di motivi, qui di seguito brevemente esposti.
In primo luogo, il d.lgs. 123/1993 (ci si riferisce ora, in particolare, al relativo art. 4, rimasto in vigore anche dopo l’abrogazione della direttiva 89/397/CEE) è norma interna di derivazione europea e, in quanto tale, come sopra si è visto, nell’attività di recepimento della specifica direttiva di cui essa costituisce attuazione deve perseguire le finalità poste dalla stessa, ancorché i mezzi per raggiungere tali obiettivi siano rimessi alle decisioni del singolo Stato membro.
Tale autonomia procedurale, ad ogni modo, incontra limiti ben determinati, costituiti dal rispetto degli obiettivi posti a fondamento dell’ordinamento europeo, dai quali nessun provvedimento normativo comunitario e nazionale può prescindere, tra i quali si annovera il principio di non discriminazione tra i cittadini europei.
Principio, peraltro e come è ovvio, sigillato anche nella nostra Carta costituzionale.
Pertanto, ancorché sia attribuito carattere ordinatorio alle disposizioni nazionali di natura amministrativa recanti la procedura di campionamento, se tali regole sono costruite, finalizzate ed idonee al conseguimento ed al rispetto del principio anzidetto, come appaiono essere, non si può ritenere che il loro mancato rispetto integri un’irregolarità così poco rilevante da non compromettere seriamente l’ossequio a tale principio, oltre che al diritto di difesa dell’interessato e, così, al regolare, successivo esercizio dell’azione penale.
Il tutto, anche considerando che la violazione, da parte della Pubblica Amministrazione, di un dettato normativo che pone regole procedurali a carico dell’amministrazione stessa, dovrebbe non solo condurre ad un atto viziato (nel caso, per violazione di legge e/o eccesso di potere), ma anche costituire un comportamento amministrativo illegittimo.
In entrambi i casi, con conseguenze certo non irrilevanti in capo al cittadino-interessato nell’ambito dell’eventuale, successivo procedimento penale a suo carico.
E qui si innesta il secondo motivo accennato, di cui parleremo nella prossima pubblicazione.
NOTE
(1) A. MONTAGNA, Sulle garanzie per il produttore e distributore in tema di prelievi e analisi dei prodotti alimentari, in Alimenta vol. XVIII n. 2/10, p. 27
(2) Cass. penale, sez. III, n. 15372/2010: In tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, è necessario distinguere i prelievi e le analisi inerenti alle attività amministrative, ovvero alla normale attività di vigilanza e di ispezione, disciplinati dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., dalle analisi e prelievi inerenti invece ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare per i quali devono operare le norme di garanzia della difesa in applicazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen.
(3) In particolare, l’ancora vigente art. 4, relativo alle particolari tipologie di alimenti e modalità di analisi, prevede (con evidenza qui aggiunta) che “Per i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili, indicati con decreto del Ministero della sanità, il responsabile del laboratorio provvede ai relativi accertamenti su un’aliquota del campione ed in caso di non conformità, provvede con tempestività a darne avviso all’interessato specificando il parametro difforme e la metodica di analisi e comunicando il luogo, il giorno e l’ora in cui le analisi vanno ripetute limitatamente ai parametri risultati non conformi; un’altra aliquota resta di riserva presso il laboratorio per un’eventuale perizia ordinata dall’autorità giudiziaria”.
(4) Segnatamente all’art. 2 è disposto (con evidenza aggiunta) che “per i prodotti alimentari deteriorabili di cui all’art. 1, comma 1, non essendo possibile effettuare l’analisi di revisione secondo le modalità di cui alla legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, il campione prelevato al fine del controllo microbiologico va ripartito dalla persona incaricata del prelievo in quattro aliquote, ciascuna delle quali in quantità congrua per l’espletamento delle analisi da effettuare. Una delle quattro aliquote (…) viene consegnata dal prelevatore al detentore del prodotto alimentare unitamente al verbale di prelevamento, mentre le altre tre aliquote vengono consegnate ai laboratori competenti per territorio per l’effettuazione, su una prima aliquota, degli accertamenti analitici e per la ripetizione, su una seconda aliquota, delle analisi limitatamente ai parametri eventualmente risultati non conformi. L’ultima aliquota, infine, resta di riserva presso il laboratorio per un’eventuale perizia ordinata dalla autorità giudiziaria”.
(5) Sentenza della Corte di Giustizia UE del 10 aprile 2003 Amtsgericht Schleswig c/ Steffensen in causa C-276/01.